Stefania Giombini

La bellezza di pensare

Rari sono i luoghi in cui resistere, 

luoghi dove Muse si danno convegno

per mantenere l’eco di un’armonia

per ricordarci ancora che esiste il sublime

per risaltare gli antichi splendori ed accogliere vie di Beltà.

 

Raro pur sempre e sepolto nelle selve d’ombra di armi totali

un Luogo: e ora rinasce e tenta difenderci dall’ira del cosmo.

 

(da Sberle in Andrea Zanzotto, Conglomerati[1])

 

Questi versi suggeriscono con forza la necessità di cambiare prospettiva di fronte alla realtà e acquisire un atteggiamento maggiormente disincantato e veritiero. Nei versi del poeta il Pianeta è un luogo dove regna la bruttezza, il marcio, il grigio e dove è assente ogni speranza di redenzione: l’asfissia spegne il pensiero e la vita. Eppure in questa stessa dimensione pare aprirsi uno spiraglio: nel resto del testo Zanzotto indica una via di fuga nei piccoli fiori selvatici e piante, “rari luoghi” in cui è possibile riavvicinarsi alla Natura e riaccendere la speranza di un’esistenza che vale. Ecco allora le Muse, che hanno il compito di ristabilire l’armonia del mondo e che ben rappresentano la necessità di affidarsi all’arte e alla conoscenza nelle sue tante forme per uscire da una forma attuale di impasse.

Quando si parla della redenzione del pianeta si parla della redenzione degli uomini. Il pianeta è cambiato e non può che cambiare nel corso del suo tempo. Ma da non molto l’uomo lo abita con atti che hanno portato a distruzione, incuria e offesa: l’uomo che così ha agito ha bisogno di redimersi per redimere il mondo, ma occorre pensare in che direzione avviare questo processo.

Il XX secolo ha portato la necessità di riflettere sull’invasiva antropizzazione che i paesi, soprattutto quelli industrializzati, hanno operato indistintamente sui loro territori. Sono stati i cosiddetti “disastri ambientali” il prezzo che è stato pagato alla irresponsabile modificazione dei paesaggi e all’eccessivo sfruttamento delle risorse.

Eppure, gli effetti dell’antropizzazione, non si rendono visibili solo in fenomeni endogeni ma anche nella dimensione esterna ed estetica del mondo: è il paesaggio l’orizzonte vivo in cui muove l’esistenza umana, sia naturale che culturale.

In questo senso, Zanzotto muove la sua critica al Kitsch del costruire, dell’abitare e del pensare. Sembra richiamare l’illuminante saggio di Martin Heidegger “Costruire, abitare, pensare”[2] in cui il filosofo vede in un’opera architettonica, il ponte, il modo per congiungere umano e divino e dove ben si esprime l’idea che vivere è abitare e che l’architettura più che costruire è un costruire secondo le linee naturali. La dimenticanza della dimensione sacrale del vivere il pianeta e l’adozione di uno stile di vita maggiormente violento non è il solo effetto di una prospettiva culturale e filosofica secondo la quale natura coincide con dominabile. Ma c’è un appiglio che neanche la più irrefrenabile volontà di dominio della natura non può permettersi di perdere: quello del gusto, dell’onorare la natura difendendola con la bellezza. Se è la bellezza a mancare e a perdersi, non è la bruttezza farle da sostituta, come ci si aspetterebbe. Bensì la superficialità e l’incapacità di percepire la vita nel suo scorrere e manifestarsi. Tale percezione sarebbe facilmente colta nella dimensione filosofica del pensare, che pur è estranea alla contemporaneità.

Un breve saggio dello specialista del diritto Gustavo Zagrebelsky “Sulla lingua del tempo presente”, uscito in questi giorni per Einaudi[3], sembra giungere in aiuto alle nostre riflessioni. L’analisi dello studioso si limita al fenomeno di degenerazione politico-linguistica nel nostro contesto nazionale rilevando come proprio la dimensione linguistica sovrasta e determina le azioni sociali e politiche, spostando interessi ed obiettivi nel nome di un abbassamento culturale più alla portata di tutti. Eppure, Zagrebelsky conclude in maniera particolarmente interessante: la bruttezza e la superficialità sembrano dominare l’esistenza degli uomini, soprattutto l’esistenza pubblica e sociale.

Se non la cultura e gli intellettuali, sono gli eventi naturali e le contraddizioni del mondo globale che stanno intensamente sollecitando una pausa di riflessione per l’umanità. Anche la filosofia non vi si può astenere, promuovendo un’antica assiologia incentrata sull’uomo come valore, bellezza e, in un certo senso, saggezza. Alla domanda che ha tanto risuonato nel secolo scorso e che ad oggi ancora risuona “Quale bellezza salverà il mondo?”, oggi dovremmo lavorare per rispondere “la bellezza dell’uomo che pensa”.



[1] A. Zanzotto, Conglomerati, Milano 2010.

[2] M. Heiedgger, Costruire, abitare, pensare in Sentieri Interrotti, Milano 1980.

[3] G. Zagrebelsky, Sulla lingua del tempo presente, Torino 2010.