Premessa a cura del Direttore Editoriale

Un nuovo umanesimo: uno strumento di azione ed uno stile di vita per la redenzione del pianeta

Mi pare opportuno mettere subito in chiaro da dove sorge l’interesse della rivista per questi temi. “ Le ali di Icaro” non è motivata da una semplice curiosità storica o, peggio, da uno sfoggio nozionistico di cultura. L'umanesimo ha per la sottoscritta e per tutto il Comitato di Redazione il significato di essere non solo storia, ma anche progetto per un mondo futuro.

 

Che cosa vuol dire umanesimo?

Se si volesse dare una definizione dell'atteggiamento umanista in questo momento storico, forse si potrebbe rispondere sinteticamente che "è un umanista chiunque lotti contro la discriminazione e la violenza e proponga delle alternative affinché la libertà di scelta dell'essere umano possa manifestarsi". In tale accezione – che condivido – l’umanesimo dovrebbe contribuire a redimere il pianeta, creando un fronte contro la discriminazione, il fanatismo, lo sfruttamento e la violenza. Ad un mondo caratterizzato dalla globalizzazione e dallo scontro tra culture, etnie e ragioni, mi piacerebbe contrapporre un mondo basato sulla convergenza. In un mondo in cui i paesi, le istituzioni ed i rapporti umani tendono a destrutturarsi, bisognerebbe stimolare la ricomposizione delle forze sociali. In un mondo che ha smarrito il senso e la direzione della vita, mi piacerebbe fiorisse un umanesimo capace di estirpare l'opposizione irriducibile tra il personale ed il sociale o tra il sociale ed il personale. E poi penserei anche ad un umanesimo creativo, non ripetitivo. Un nuovo umanesimo che abbia chiari i paradossi di quest'epoca ed aspiri a risolverli.

Con la domanda: "Che cosa intendiamo oggi per umanesimo?”, alcuni studiosi[1]hanno provato a descrivere il tratto comune degli umanisti di tutte le culture: il riconoscimento all'essere umano di una posizione centrale come valore, l'uguaglianza di tutti gli esseri umani nella valorizzazione delle diversità personali e culturali, la libertà di professare qualunque idea e credenza, il ripudio della violenza. Ad addentrarci nella cultura europea ed in modo particolare in quella dell'Italia prerinascimentale, gli studia humanitatis erano incentrati sulla conoscenza delle lingue greca e latina e le "materie umanistiche" comprendevano: storia, poesia, retorica, grammatica, letteratura e filosofia morale, a differenza delle teorie proprie dei giuristi, degli studiosi di canoni e leggi e degli artisti, che erano finalizzate ad una formazione specificamente professionale. La differenza tra "umanisti" e "professionisti" si andò accentuando nella misura in cui i primi approfondirono gli studi classici e la ricerca su altre culture; si creò così una sorta di separazione tra la formazione professionale e l'interesse per tutto ciò che era “genericamente umano”, nonché per le umane attività. La parola umanista, che designava un certo tipo di studioso, cominciò ad essere usata in Italia solo a partire dal 1538[2]. E' verso la metà del secolo scorso che il termine "umanesimo" circola in quasi tutte le lingue. Secondo questa interpretazione, esso risulta, alle origini, un fenomeno letterario caratterizzato da una netta tendenza a rivalutare i contributi della cultura greco-latina, soffocati dalla visione cristiana medievale. L'intenso contatto con la cultura ebraica e con quella musulmana e l'ampliamento dell'orizzonte geografico, poi, crearono un contesto che incentivò la preoccupazione per l'umano in generale e per la scoperta delle cose umane.

Numerosi studiosi hanno messo in evidenza come già nell'umanesimo prerinascimentale compaia una nuova immagine dell'essere umano e della personalità umana. Secondo questa nuova concezione, la personalità umana si costruisce e si esprime nell'azione ed è in tal senso che la volontà viene ad assumere un'importanza maggiore dell'intelligenza speculativa. Parallelamente si fa strada una nuova concezione della natura: non più una valle di lacrime creata da Dio, ma ambiente, sede e corpo dell'essere umano, sicché tale mondo può essere spiegato sulla base di un insieme di forze immanenti senza ricorrere a concetti teologici. Insomma, mondo come regno dell'uomo, che può dominarlo grazie al sapere, grazie alle Scienze. Proprio sulla base di questo orientamento, gli studiosi del XIX secolo hanno annoverato, tra gli "umanisti" , non soltanto personalità letterarie ma hanno collocato, a fianco di Nicola di Cusa, Rodolfo Agricola, Juan Reuchlin, Erasmo, Tommaso Moro, Jacques Lefevre, Charles Bouillé, Juan Vives, anche Leonardo e Galileo. E' è pure noto come molti temi introdotti dagli umanisti abbiano esercitato un'influenza che è andata ben oltre il periodo rinascimentale: essa è infatti rintracciabile negli enciclopedisti e nei rivoluzionari del XVIII secolo. E’ dopo le rivoluzioni americana e francese che ha inizio il declino dell'atteggiamento umanista, finendo quasi per scomparire. In seguito alle due catastrofi mondiali i filosofi dell'esistenza riaprirono il dibattito su un tema che sembrava morto e sepolto. Ma questo dibattito partì dall'ammissione che l'umanesimo fosse una filosofia, quando, in realtà, non si trattò mai di una posizione filosofica, ma di una prospettiva e di un atteggiamento di fronte alla vita ed alle cose. Se nel dibattito si dette per valida la descrizione dell'umanesimo propria del XIX secolo, non risulta certo strano che pensatori come Foucault abbiano accusato l'umanesimo di essere un prodotto tipico di quel secolo. Già prima Heidegger aveva espresso una posizione contraria all'umanesimo che aveva considerato, nella sua Lettera sull'Umanesimo, null'altro che un'ennesima "metafisica". Althusser, Lévi-Strauss e vari altri strutturalisti fecero aperta professione di anti-umanesimo nelle loro opere. In realtà, l'umanesimo storico occidentale non fu in nessun caso una filosofia, neppure in Pico della Mirandola o in Marsilio Ficino. Il fatto che numerosi filosofi condividessero un atteggiamento umanista non implica che questo fosse una filosofia.

Ma qual è lo stato della questione umanista nel momento attuale?

Francamente ritengo che la proliferazione di "umanesimi" negli anni recenti sia del tutto legittima, sempre che questi si presentino come forme particolari di umanesimo, senza la pretesa di assolutizzarne l'idea. Credo anche che l'umanesimo sia attualmente in condizioni di diventare una filosofia, una morale, uno strumento di azione ed uno stile di vita. Nell'umanesimo storico esisteva la profonda credenza che la conoscenza ed il controllo delle leggi naturali avrebbe portato alla liberazione dell'umanità, che tale conoscenza fosse patrimonio di tutte le culture e che si dovesse imparare da ciascuna di esse. Dico questo perché forse è il momento di riflettere seriamente sul cambiamento del mondo e di noi stessi. E' facile pretendere che cambino gli altri: il punto è che gli altri pensano la stessa cosa. Non sarà tempo di iniziare a riconoscere l'"altro", la diversità del ‘tu'? Credo che oggi sia sul tappeto con più urgenza che mai il problema del cambiamento del mondo e che questo cambiamento, per poter essere positivo, debba andare di pari passo con il cambiamento personale. La decisione di agire o, al contrario, l'incapacità di farlo, viene attribuita con troppa facilità all'esterno: la responsabilità è dell'ambiente che ci costringe a fare cose che in realtà non vorremmo o che non ci sostiene abbastanza nelle nostre iniziative. Sviluppare questo tipo di consapevolezza richiede il superamento di alcuni scogli: da una parte c'è la difficoltà di imparare a conoscere e a esprimere pienamente se stessi, dall'altra quella di superare l'illusione della separatezza personale/sociale per comprendere che è impossibile una felicità indipendente dall'ambiente. Il dualismo, il gap tra l'aspetto personale e quello sociale della vita non ha dato buoni risultati, per cui è da considerare seriamente se non abbia più senso una convergenza, come dicevo sopra, tra i due termini. L'antagonismo tra le culture non ci porta sulla strada giusta, per cui diventa imprescindibile riconsiderare un modo di riconoscere la diversità culturale che conduca alla creazione di una nazione umana universale. Bisogna cercare una comprensione della realtà molto più profonda che richiede lo sforzo di fare emergere qualità di umiltà e rispetto insieme alla capacità di rivedere il proprio punto di vista.  Decidere in prima persona, senza aspettare che sia l'ambiente a farlo per noi, credo sia fondamentale per la redenzione del pianeta. Solo se la motivazione interiore è forte è possibile superare le difficoltà che sorgono dalle differenze.

Lo scopo del nuovo umanesimo non è quello di rimanere da soli o attorniarsi di una cerchia di sostenitori, bensì quello di estendere una rete di relazioni umane quanto più vasta possibile fino ad abbracciare l'umanità intera.

Erich Fromm, nel libro Fuga dalla libertà, ripercorre la storia della società per spiegare quanto il processo di conquista di autonomia dell'individuo sia ostacolato dall'interno, dagli stessi esseri umani. Spiega che l'uomo, da sempre spinto alla ricerca della libertà da restrizioni esterne, quando si trova a doversi basare sulle proprie forze, viene colto da un senso di insicurezza e di isolamento che lo spinge a cercare dei meccanismi di fuga. Si cerca così qualcosa o qualcuno a cui delegare le proprie responsabilità e si sviluppano rapporti di sottomissione o di dipendenza. Oppure si può tentare di rendere gli altri dipendenti confondendo i sentimenti di amore o benevolenza con il bisogno di dominio che nasce dalla propria instabilità interiore. A volte ci si spinge al punto di rinunciare al proprio io e si sviluppa uno "pseudo-carattere", uno "pseudo-pensiero" e perfino degli "pseudo-sentimenti". Spinti dal senso del dovere, dalle convenzioni o da semplici pressioni, si arriva al punto di dimenticare chi siamo, e cosa vogliamo veramente.

Il pensare noi e gli altri nel pianeta come unità di "diversi corpi, stessa mente" (itai doshin) [3]diventa il risultato naturale degli sforzi volti a manifestare le singole identità. A quel punto, non si percepisce più la differenza in termini di superiorità e inferiorità o di giudizio o di qualunque classificazione in ruoli, ma ci si sente spinti verso gli altri da un profondo spirito di uguaglianza e di solidarietà.

In questo nuovo umanesimo ci sta la totale esplicazione della compassione, nel senso giapponese del termine “jihi “, che significa togliere sofferenza, dare felicità. Nella compassione non c’è spazio per l’egoismo, ma, quando è autenica e profonda, si sviluppa fino ad abbracciare la vita nella sua totalità. La compassione è la sorgente – a mio vedere - per rivitalizzare una società inaridita. La compassione intesa in questo senso ha un significato ampio. Il concetto di ji – dare pace e sicurezza a tutti gli esseri viventi al mondo – assume il significato di “dare felicità” e hi quello di “togliere sofferenza a tutti gli esseri viventi”.


Pensiamoci. Le diverse sofferenze di tutta l’umanità sono le sofferenze di una persona,in un certo senso. Quanti eroi si sono fatti carico delle sofferenze di tutta l’umanità e hanno lottato tutta la vita per questa finalità? Da un punto di vista superficiale si potrebbe pensare che la compassione assomigli all’amore, ma in realtà si tratta soltanto di una corrispondenza molto approssimativa. L’amore è fortemente caratterizzato dall’egoismo, mentre la compassione si sviluppa fino a raggiungere un livello talmente ampio da abbracciare la vita nella sua globalità.

Quando si ha una visione del mondo limitata, si pensa solo al benessere personale, preoccupandosi solo del proprio tornaconto, talvolta anche a spese degli altri. Di certo questo atteggiamento non è la chiave per una nuova epoca, per la redenzione del nostro pianeta. Se desideriamo aprire una nuova strada verso un mondo pacifico e basato sulla cooperazione armoniosa, è necessario che ciascuno di noi alimenti il seme della compassione nel profondo del cuore.

Ran Lahav, durante la prima conferenza di pratica filosofica del 9 luglio 2007, tenutasi presso l’Università Nazionale di San Marcos a Lima nel febbraio 2007, ci aiuta a capire qualcosa di più sulla funzione della filosofia per la realizzazione di questo nuovo umanesimo, per “ avere una vita più grande”. Il filosofo si basa sull’idea che la filosofia – più in specifico la pratica filosofica - non risolve problemi, ma sono i problemi stessi che possono portare alla vita. Non chiarisce situazioni difficili, semmai, a volte, pone situazioni difficili. L’esercizio della filosofia porta a porsi delle domande filosofiche: cosa è importante nella vita? Cos’è l’amicizia? Cos’è l’amore? Cosa significa essere libero? Cosa è etico e cosa non lo è?

In conclusione, l’allegoria della caverna di Platone è un’allegoria molto significativa. Noi spesso viviamo in una caverna, in parte personale e in parte culturale, che non è altro che una limitazione determinata da modelli di pensiero, pre-giudizi, che ci incatenano e non ci fanno percepire che l’ombra della vita e della possibile libertà. Secondo Platone l’obiettivo della filosofia non è quello di rendere la vita nella caverna più confortevole, bensì quello di uscire fuori dalla caverna e avere una visione della vita più ampia, planetaria, universale. Trascendere quello che siamo e andare molto al di là dei nostri “piccoli io”, del nostro perimetro. Questa è una visione incredibilmente umanista, a mio modesto parere. Tenta di elevarci, di condurci fuori dalla caverna, di traghettarci verso la saggezza. Come dire, prima devo capire la mia caverna per poter uscire da essa e vivere una vita più grande. Ma poi, in quella caverna, ci devo rientrare per parlare della “nuova vita” all’umanità che è ancora lì dentro, nell’oscurità. Devo – come filosofo - persuadere quell’umanità a perseguire la via della compassione e della saggezza.


[1] Rif- Conferenza di Silo presso la Comunità Emanu-El, SEDE DELL'EBRAISMO LIBERALE IN ARGENTINA, Buenos Aires, Argentina. 24 Novembre 1994.

[2] Su questo punto rimando alle osservazioni di A. Campana ed al suo articolo The origin of the word ‘humanist' pubblicato nel 1946.

[3] Vedasi scritti di Nichiren Daishonin

 

Nicoletta Poli, ricercatrice IRS (http://www.irs-online.it/), filosofa, scrittrice e poetessa. http://psicofilosofia.jimdo.com/