Lino Carriero

Quali ingredienti di una futura Redenzione del pianeta

"Perché non parlare dell’attesa perpetuamente insoddisfatta di una redenzione futura, dove l’uomo si lascia alle spalle le tragedie e gli orrori? Redimere questi orrori, cioè dare senso e rendere giustizia alle vittime, non è un compito che viene assunto e garantito dalla divinità o da un fantomatico destino della storia dell’umanità. Le macerie della storia spesso restano mute dinanzi alla nostra interrogazione, non trovano giustificazione. Quali potrebbero essere gli ingredienti di una futura redenzione del pianeta?".

«Cari figli, oggi, come mai prima, vi invito alla preghiera. Che la vostra preghiera sia preghiera per la pace. Satana è forte e desidera distruggere non soltanto la vostra vita umana, ma anche la natura e il pianeta sul quale vivete» (25 gennaio 1991: messaggio della Vergine di Medjugorie)

Ci siamo arrivati? Non c’è due senza tre! La prima volta Dio volle punirci con il diluvio. Il Signore scelse un giusto che raccogliesse una coppia per ogni specie umana da preservare dalla furia delle acque, al sicuro in una grande arca. Noè, l’essere umano, consapevole della volontà divina di emendare l’umanità dal peccato, fu l’esecutore terreno di una alleanza tra le dimensioni inferiore e superiore dell’universo. Al centro l’uomo. Al centro e non il centro, dato che egli stesso e la sua famiglia erano pari al mondo animale contenuto nell’arca. Questa relazione dell’essere umano tra il cielo e la terra necessariamente si pone come un rapporto di reciproca dipendenza, con la funzione di mostrare all’uomo i suoi limiti, finiti, e ciò che oltre esiste come infinito. Questa stessa realtà, se vogliamo inconsciamente archetipica, è parimenti presente nelle culture estremorientali (fondamento dell’I Ching, il Libro dei Mutamenti). L’aver citato il testo cinese taoista ci permette di osservare come sia pur all’interno di un vincolo estremo: la finitezza della creatura, l’essere umano, conoscendoli, può essere un protagonista dei mutamenti planetari. Riguardo alla salute del pianeta Terra, Dio ha corredato il pianeta di un perfetto sistema di sopravvivenza: soltanto l’uomo quindi può essere la causa e la minaccia di distruzioni che nuoceranno a se stesso e al mondo animale e vegetale così come l’abbiamo finora conosciuto, oppure l’agente di preservazione di un bene che va oltre il proprio possesso. Questa capacità delle civiltà umane di riconoscersi influenti per la salute planetaria, in entrambi i casi: nel bene e nel male, è l’unica vera grande verità d’amore che l’essere umano può esercitare. L’amore dell’essere al servizio di un salutare equilibrio, superiore ai suoi stessi interessi. Solo un tal senso dell’amore inteso come emanazione spirituale dell’universo può infondere nell’uomo quel senso esistenziale che lo ripaga dalla presunta perdita della libertà intesa come strema possibilità di individualismo.

La seconda volta, sicuramente deluso, Dio mandò suo figlio (sicuramente più rappresentativo di Noè). Lo mandò affinché all’umanità peccatrice fosse chiara l’illusione di poter far da padrona in casa Altrui: il pianeta terra di cui si è ospiti. Nell’universo Dio aveva dato ospitale possibilità di una felice esistenza a tutte le specie, compresa l’umana. Arrogarsi l’abusivo possesso del pianeta in nome del libero arbitrio, pur concesso dalla stessa divinità, voleva dire rinunciare all’amore, unica fonte di vita e salute, e rinunciare all’amore voleva dire spezzare ogni legame di democratica appartenenza all’insieme delle molteplici creature così come fu inteso da Dio all’origine. Per questo il Padre mandò anche il Figlio affinché parlasse d’amore come indispensabile costituente della speranza: speranza di salvezza e felicità per l’intero creato.

Passarono altri due millenni e il concetto dell’amore non ebbe vita tanto facile neanche fra coloro che, unilateralmente, se ne dichiararono rappresentanti come istituzione religiosa. La razza umana crebbe a dismisura, ma solo in termini numerici, dato che le malattie, le carestie, le ingiustizie sociali ed economiche aumentarono a dismisura a dispetto della possibilità di sconfiggerle con l’amore di cui tutti a parole si dicevano campioni. Ovviamente l’amore non doveva mettere in discussione il godimento di privilegi economici di alcune nazioni anche se ciò continuò a perpetuare un ignobile disequilibrio macreconomico planetario ed un’eterna fonte di conflitti politici causa anch’essi di disuguaglianze e assurdi conflitti all’interno dell’umanità. Cosa era avvenuto? Cosa aveva minato quell’alleanza unicamente basata sull’amore tra l’uomo all’interno del Cielo e della Terra, che faceva della molteplicità un unicum? Cos’era stato a rendere l’uomo un essere solitario sulla faccia di un pianeta, la Terra, che egli andava considerando unicamente e sempre più come il proprio possesso e il proprio Eden? Forse il desiderio edipico di emanciparsi dal Dio padre senza però proporre un’altrettanta evoluta forma d’amore che non fosse il proprio narcisismo. Forse che, senza quell’oppressivo e onnipresente Padre, l’uomo poteva rivendicare sulla madre terra il diritto di un ruolo paritetico come fantasticato dal figlio con la madre? Un ruolo con la madre terra, il pianeta su cui vive, ad esclusivo e narcisistico uso e consumo utilitaristico!

È “l’Amor che move il sole e le altre stelle”, canta Dante Alighieri. “C’è un’unica Forza, l’Amore, che lega e dà vita a infiniti mondi”, risuona Giordano Bruno. Non una proprietà di un corpo quindi, ma una Forza che anima anche le stelle, la stessa che l’uomo sente comeamore risuonare come intima appartenenza all’infinito in cui, come al pari di ogni altra finitezza, anch’esso è amorevolmente compreso. 

Se, invece, le figure trinitarie del Figlio e dello Spirito: l’amore, potessero essere lette ed interpretate, spiegate e chiarificate come nell’opera bruniana, alla luce della presenza, più che alta ed elevata della divinità, allora forse quel rapporto dei viventi con l’universalità dell’amore potrebbe essere determinato nel senso della presenza di una relazione sempre mobile, fra l’amore e la sua idea di eguaglianza come viene espresso dall’Anima mundi o dalla Provvidenza. Un movimento universale del desiderio (eros), che ha la Libertà quale proprio motore: libertà del manifestarsi come molteplicità: ricchezza delle diversità come perfetta specularietà dell’Unicità. In questo modo sarebbe proprio lo scomparire dell’Uno ed il suo presentarsi come molteplicità che sempre si dà e si riprende, in una danza vorticosa e creatrice lungo la direzione offerta dalla dialetticità della Natura, ad offrire l’immagine di quella sapienza profondamente infinita che compare concretamente nell’umanità come plurale esperienza d’amore salvifico.

1991: UN FATTO INEDITO PER L'UMANITÀ.

La Madonnaa Medjugorje, già a partire dalle sue prime apparizioni, si è presentata col titolo di "Regina della pace". Con il passare degli anni si è iniziato a comprendere sempre più chiaramente il motivo per cui si è presentata in questo modo: la pace oggi rappresenta infatti il problema più grave ed urgente per la salvezza del pianeta Terra. Se anche in passato in special modo nel corso del XX secolo con le due guerre mondiali si verificarono orrori ed eccidi spaventosi, soltanto ora per la prima volta nella storia dell'umanità il mondo è a rischio di autodistruzione perché possiede armi tali non solo da poter distruggere la Terra ma anche per renderla non più abitabile da alcuna forma di vita. Sempre a Medjugorje la Madonna all'inizio del 1991 (mentre era in corso la guerra in Iraq) svelò questo piano satanico quando affermò che “Satana vuole distruggere il pianeta sul quale vivete”. Ovviamente chiunque può comprendere che la logica del demonio sia quella di indurre - attraverso il Male - le creature umane, poste dal Signore sul pianeta prescelto per la vita, a vanificare la bellezza e la bontà del progetto divino d’Amore, attraverso la follia dell’autodistruzione in nome del trionfo dell’egoismo (La Bestia trionfante sempre secondo Giordano Bruno).

Ma torniamo all’attualità.

Il sociologo Zygmunt Bauman ha l’interessante capacità di sintetizzare in una immagine facilmente comprensibile ed evocativa la sua interpretazione della complessità dei fenomeni sociali che io ho descritto con metafore teologico-trinitarie. Barman ha definito la nostra società come “liquida”. E da allora questo aggettivo viene frequentemente, e a volte sbrigativamente, utilizzato in svariati contesti. Nel suo ultimo libro Individualmente insieme, Bauman sostiene che alla celebre triade della rivoluzione francese - libertà, uguaglianza, fraternità - ne sia ormai subentrata, nella società contemporanea, un'altra: sicurezza, parità, rete.

È su quest’ultima parola che vale la pena di riflettere. Bauman la descrive così: "Si assume che ogni singolo si porti dietro, assieme al proprio corpo, la sua specifica rete, un po' come una chiocciola porta la sua casa". La rete sono i legami che il singolo stabilisce. Ma attenzione, non sono i legami della fratellanza, cioè in qualche modo dati da una storia (la famiglia, il quartiere, una comunità religiosa, una nazione). Sono, al contrario, legami fluidi, flessibili, liquidi appunto: "Le unità individuali vengono aggiunte o tolte [dalla rete che la singola chiocciola porta con sé] con uno sforzo non maggiore a quello con cui si mette o si cancella un numero dalla rubrica del cellulare". Ne deriva che i legami sono "eminentemente scioglibili" e "facilmente gestibili, senza durata determinata, senza clausole e sgravati da vincoli a lungo termine".

È facile trovare in questa immaginifica descrizione i tratti della debolezza dei legami affettivi, normalmente concepiti come temporanei, non impegnativi, cancellabili non appena lo si voglia. Qual è la ragione di questo fenomeno? Il fatto, risponde Bauman, che "la rete non ha dietro di sé alcuna storia" e, quindi, l’identità della persona non è definita da una appartenenza che la precede. Anzi, l'unica appartenenza è quella che l’individuo via via si costruisce e distrugge attraverso le sue labili e mutevoli reti. Benedetto XVI a Parigi ha affermato: "Sarebbe fatale, se la cultura europea di oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami". La descrizione di Bauman sembra confermare questa triste fatalità. Ma, dice il Papa, c'è una tragica conseguenza: una libertà come assenza di legami è destinata a distruggersi. E, quindi, a diventare preda del potere.

Come ai tempi dei monaci da cui ha preso spunto Benedetto XVI, anche oggi è indispensabile che si pongano esperienze di appartenenza in cui la libertà sia affermata come espressione di un legame che precede l’individuo (la "fraternità" implica una paternità) e che ne fonda l’identità. Un’identità che non è nemica di nessun’altra. Infatti, ha concluso il Papa: "Questa tensione tra legame e libertà ha determinato il pensiero e l’operare del monachesimo e ha profondamente plasmato la cultura occidentale. Essa si pone nuovamente anche alla nostra generazione come sfida di fronte ai poli dell’arbitrio soggettivo, da una parte, e del fanatismo fondamentalista, dall’altra".

("Vita liquida" di Zygmunt Bauman (una recensione ed un confronto) Recensione di Ottobre 2007, di Giovanni Polimeri)

Ovviamente il riferimento al concetto di libertà nel legame con un’appartenenza storica liberamente condivisa si riallaccia all’attualissimo (New Age) concetto neoplatonico dell’Anima mundi sopraccitato. Tornando a Bauman: "Vita liquida" e "modernità liquida" sono profondamente connesse tra loro. "Liquido" è il tipo di vita che si tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita "liquido moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. Il carattere liquido della vita e quello della società si alimentano e si rafforzano a vicenda. La vita liquida, come la società liquido-moderna non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo. (Introduzione, pag. VII).

Sono queste le parole con cui Bauman inizia l’Introduzione del suo Vita liquida, che costituisce il terzo appuntamento con la "liquidità" dopo Modernità liquida e Amore liquido. In Vita liquida filosofia ed economia, antropologia e politica si uniscono in un’interpretazione nuova, lucida e profonda della contemporaneità. Il testo inizia con un analisi dell’individualismo. Esso è costituito da un paradosso (anzi, un’aporia) di fondo: se essere individui significa “essere tutti diversi”, allora ognuno è uguale all’altro. In una società individualista “ciascuno deve essere un individuo: almeno in questo senso, chi fa parte di una simile società è tutto fuorché un individuo diverso agli altri, o addirittura unico” (pag. 4). L'individualità, la ricerca del “vero me stesso”, appare come un obiettivo da svolgere individualmente, “un compito affidato dalla società ai suoi membri” (pag. 7); ma è un obiettivo che, nel momento stesso in cui è dato, è destinato a non essere mai raggiunto. La società liquido-moderna però, oltre a fornire un impossibile compito di vita, fornisce le risposte a questa stessa impossibilità: la “migliore” di tali risposte è il consumismo. Il mercato dei consumi, fondato prevalentemente sul conformismo, diventa “il miglior amico dell'individuo”; ne consegue che “Per essere individui, nella società degli individui, bisogna tirar fuori i soldi, un sacco di soldi” (pag. 15). Come il bisogno d’individualismo, anche la costante richiesta di “sicurezza” (che anche qui in Italia si va pian piano sostituendo ad ormai vecchi termini quali “legalità” o “giustizia”) da parte dei cittadini non verrà mai soddisfatta. Dato che la società liquido-moderna è la nostra società, è impossibile, leggendo queste parole di Bauman, non pensare a Bin Laden. Non all’uomo, certo, ma al fantoccio che “puntualissimo come la morte” si presenta ogni undici di settembre, alimentando la paura planetaria. Paure e desideri sono ciò di cui si nutre questa società; non importa cosa desiderare o di cosa aver paura, non importa che l’oggetto venga conquistato o che il nemico sia ucciso; bisogni e paure sono liquidati continuamente: ciò che conta è il continuo desiderare, non smettere mai di aver paura. È questo “a far volare l'economia che si rivolge ai consumatori” (pag. 84). La vita liquida è una corsa frenetica, una vita precaria ed incerta, in cui imparare dalle proprie esperienze come da quelle ereditate dalla tradizione culturale è impossibile perché le condizioni entro le quali esse accadono cambiano continuamente. Il tempo, com'è vissuto nella modernità liquida, consiste nel tempo d’utilizzo consumistico degli oggetti e delle relazioni umane parimenti strutturate. “L'eternità è ovviamente messa al bando. L'eternità, ma non l'infinito: finché dura, infatti, il presente può essere esteso oltre ogni limite, [...] non si sente la mancanza dell’eternità: anzi la sua perdita può persino passare inosservata” (Introduzione, pag. XV). Il tempo si consuma come tutto ciò che sta attorno all'uomo liquido-moderno. L'ultimo capitolo di Vita liquida è un saggio dedicato alle filosofie di Hanna Arendt e di Theodor W. Adorno, in un continuo confronto con Marx. Riadattare le riflessioni di questi pensatori dell’era “solida” dei produttori alla nostra era “liquida” dei consumatori, vuol dire trasformarle in una “logica della responsabilità planetaria”. Il testo si conclude con una forte istanza: bisogna imporre "all' “agenda dell’emancipazione” una convergenza nuova e senza precedenti tra precetti etici e interesse alla sopravvivenza - la sopravvivenza, comune e condivisa, dell’associazione universale del genere umano” (pag. 173).

Vorrei invece concludere le questioni sollevate da Bauman con un ultimo ma non meno inquietante fenomeno: quello dell’Apocalisse come possibile giusta e provvidenziale via d’uscita. Come si sa, dopo il mitico diluvio e la salvezza ecologica affidata a Noè, dopo la decadenza barbarica e la salvezza affidata alla fede nell’amore prospettata dall’avvento di Cristo, la tradizione cristiana si aspetta se non proprio il trionfo del Bene (l’Amore) per opera dell’uomo almeno la sconfitta del Male (Satana) per opera di Dio. “Passeranno mille e mille ancora quando Satana verrà definitivamente sconfitto da Cristo” scrisse Giovanni nell’Apocalisse. La Terra verrebbe così sconvolta da terremoti, inondazioni, siccità, carestie e ogni altra tragedia mai vista prima. Ma la vera tragedia è che l’umanità anche nel terzo millennio dia consistente peso a quest’ipotesi fantasiosa. In fondo è una ammissione implicita di resa che l’umanità fa al Signore: sarà nuovamente Lui a dover porre una soluzione - drastica questa volta – agli errori (i mali) di cui l’uomo continua a macchiare la coscienza (perché il bello è che della sistematica distruzione del pianeta ne è anche cosciente). Ma se Dio è infinito così non è la sua pazienza. Questa volta, l’ultima, il Signore verrà per giudicare gli irredenti nell’errore (i quali a loro volta, politici, economisti, religiosi, ecc., hanno avuto tutto il tempo e la disponibilità per poter operare un progetto di sana tutela planetaria. Questa volta non ci sono attenuanti. Ciononostante si preferisce piuttosto la Salvezza delle divinità alla responsabilità politica di chi sarebbe predisposto dai popoli. La questione non è certamente semplice, ma pensare ognuno al proprio tornaconto economico non potrà risolvere la questione. La questione infatti è che non si può scindere l’amor proprio (ridotto a proprio tornaconto) dal sentimento di fratellanza ed uguaglianza di tutti davanti a noi e a Dio stesso. Ogni amore edificato sui particolarismi è il massimo inganno operato da Satana: è egoismo indegno di un umanità che vuol dirsi civiltà (non è una questione di morale ma di etica come afferma Bauman). Una società che non ha legami, liquida, non può che vivere di attrazioni momentanee, instabili come gli elettroni di certi atomi, non può che andare incontro al destino senza alcuna progettualità conservativa perché è incapace di concepire il futuro. Non concepisce il futuro anche perché dimentica quotidianamente il passato, da cui non può trarre lezioni non avendo memoria delle tragedie e degli orrori già causati e vissuti. Per capire cosa sta accadendo occorre aver chiaro che la modernità, a partire dall’illuminismo, si manifesta come un grandioso progetto futuro-centrico. Si tratta però di un disegno ideologico fortemente condizionato dal presente. Il futuro dell’aspettativa moderna è, infatti, un futuro deciso dal presente, governato dal presente, immaginato e colonizzato dal presente. Il nostro presente oggi, l’immediato, soffoca il pianeta e distrugge l’avvenire delle generazioni, non curandosi degli eventuali effetti collaterali che su di essi ricadranno inevitabilmente. Se non conosciamo la meta cui saremo diretti e ci incamminiamo nell’unica direzione che pare soddisfare le sole contingenze immediate, possiamo solo illuderci che, anche se non sappiamo in realtà dove stiamo andando, ci basti accelerare, con la chimera del progresso, il passo per avvicinarci alla migliore delle destinazioni. Con l’attuale idea di progresso è successo proprio così. Purtroppo le forze all’opera sono contrastanti e in gran parte volte alla divisione mascherando l’odio con l’amore (il partito dell’amore…, gli stati canaglia…). La rassegnazione appare dilagante finché si tende a delegare la propria salvezza a chi in fondo pensa esclusivamente alla propria, come se il mors tua vita mea fosse ancor possibile. Il Papa, ad esempio, dall’alto della sua antimodernità, scommette totalmente ed esclusivamente sulle contraddizioni della modernità, sperando che se la ricerca democratica e la speranza laica di un mondo più giusto vengano meno rimane solo la sua visione di Salvezza. Se il mondo, che l’umanità vive solo nell’ hic et nunc, annaspa alla ricerca di un Senso concreto e stabile, ma impossibile in un contesto di “liquidità”, la Chiesa scommette tutto sul presentarsi come millenaria e granitica terra ferma.

Se nessuno può dire di avere ricette perfette tutti, singolarmente, possiamo attivamente cominciare a fare quotidianamente un gesto d’amore verso il pianeta e un altro verso il prossimo, mantenendo il resto del tempo e delle energie a disposizione per sé. Di questo il Signore ne sarà grato. L’Apocalisse sarà nuovamente posticipata…

Cosa si può fare?

L’ipersviluppo è la geniale formula che descrive lo sfruttamento di ogni atomo del pianeta per produrre progresso, crescita assoluta, crescita illimitata. È lo stato di guerra con il mondo. Anche un bambino può comprendere che qualcosa di finito, con risorse limitate, non può svilupparsi infinitamente. Allora si tratta di essere responsabili e di procedere non a una smobilitazione altrettanto totale (rischio che comunque corriamo continuando verso il collasso delle risorse) ma a una presa di coscienza della misura e del limite. Dobbiamo riprenderci la ragionevolezza dell’idea della fine trasferendola dagli incubi apocalittici alla quotidianità, nel rapporto con gli esseri viventi e con le cose. Smetterla con la produzione per la produzione che caratterizza lo sfruttamento totale e lasciarci prendere dal compito della cura: aggiustare il mondo, invece di continuare a distruggerlo con la scusa di doverlo poi riprodurre. Se si possono proporre delle soluzioni tra di esse è chiaro che dovrebbe primeggiare la coscienza che la propria salvezza passerà per quella del prossimo innanzitutto, così che anche la salvezza dell’umanità passi indispensabilmente per quella del pianeta innanzitutto. Tutto apparirà più fattibile se il suddetto concetto entrerà nei cuori degli uomini: non è di necessità economica che si parla, ma d’amore. Quell’amore che la divinità chiede di esser posta al di sopra di ogni cosa.

“Ciò che per la crisalide è la fine del mondo, il mondo chiama farfalla”. Lao-tze.

 

Lino Carriero, romano, naturopata e psicologo di fama nazionale, si occupa di consulenza filosofica e I CHING. Ha pubblicato diversi libri, tra cui, nel 2009, il romanzo “ "L’ottenebramento della luce". Vedasi www.linocarriero.com/