Vincenzo Rezzuti
Love commandos
“… la parola ‘amore’ è riservata sempre alla sfera extra-coniugale durante l’Alto Medioevo. Non è per l’influenza degli Amores di Ovidio sugli scrittori di questo periodo, perché quell’opera è al momento appena conosciuta, ma è per la convinzione profonda che si tratta d’un impulso irresistibile dei sensi, di un famelico desiderio di origine divina, secondo i pagani, di origine satanica, secondo alcuni cristiani; di un desiderio, in ogni modo, che non può essere che distruttivo e sovversivo. Era una convinzione profondamente radicata tanto nelle scuole che nella mentalità germanica. Un esercizio scolastico […] descrive le esagerazioni e gli opposti delle virtù teologali. Così definisce ciò che qui ci interessa: ‘amore, desiderio che cerca di accaparrarsi tutto; carità, tenera unità; odio, disprezzo nei confronti delle vanità di questo mondo’. L’amore è quindi l’esatto contrario della carità, la sua negazione. Per i Germani, c’è anche un altro termine che designa questo slancio irragionevole e possessivo: ‘libido’, e viene sempre usato per una donna. […] Nel 517 una legge speciale fu promulgata dal re burgundo Sigismondo per il caso di una vedova, Onegilda, che era tornata a fidanzarsi di sua propria volontà, e con il consenso dei genitori, a un certo Fredegisclo. Ma ecco che, ‘incendiata da un bruciante desiderio (libido), essa ruppe la fede promessa nel tribunale reale, e corse a portare a Baltamod non tanto una promessa quanto la sua vergogna.’ ”
(Michel Rouche, L’alto medioevo occidentale, traduzione Giulia Barone, in: La vita privata – Dall’impero romano all’anno mille)
L’accumulo dei capitali non sarebbe stato possibile senza le eredità e i matrimoni combinati. E’ la famiglia ad avere garantito per secoli il principio di continuità: indifferente per i derelitti ma indispensabile per chi avesse raggiunto una posizione sociale importante. L’orizzonte temporale del singolo individuo non permette accumulo a lungo termine. Se i beni non fossero trasmessi a coniugi e figli, il capitalismo sarebbe impossibile. Questo non riguarda solo il capitalismo moderno: al contrario, la difesa dell’integrità familiare era ben più forte nella società medioevale. L’entità sovra individuale garantiva tutti i suoi appartenenti (e questo era vero tanto per la famiglia, quanto per la sua unica alternativa: la chiesa). Il singolo che si comportava in modo non conforme doveva essere punito, perché metteva in pericolo il bene dei suoi familiari.
Contro le ragioni della convenienza del gruppo, la passione amorosa è l’imprevisto, la malattia improvvisa, grave perché mentale, che colpisce due persone, ma nei casi più gravi anche una sola, perché niente è più eversivo di una passione non corrisposta ma tenacemente perseguita. A nulla servono le ragioni della continuità della stirpe e della razza, o le promesse di fedeltà già date. Non c’è ragione che possa vincere l’amore furioso. E’ per questo che in molte società è ancora considerato colpa grave. Ma l’amore che scombina carte secolari, mescola sangue diverso, distrugge patrimoni, l’amore che è l’entropia del mondo, ha buoni motivi per scatenarsi. E’ la forza che difende l’interesse complessivo della specie umana, la sua necessità di rinnovarsi costantemente, di rimettere in gioco gli equilibri, di cambiare e migliorare. Ciò che è un male per l’avara economia familiare, non lo è a uno sguardo meno miope.
Love Commandos è un’organizzazione no-profit che offre aiuto a tutti i ragazzi indiani che intendono sposarsi per amore, disobbedendo alle loro famiglie.
Amori sbagliati
“… la gente che non ha il cuore direttamente impegnato, giudicando sempre che gli amori e i matrimoni sbagliati (come se si fosse liberi di scegliere colei che si ama) sono da evitarsi, non tien conto del miraggio delizioso proiettato dall’amore, e che avviluppa interamente e unicamente la persona di cui si è innamorati, dimodoché la “corbelleria” commessa da taluno sposando una cuoca o l’amante del suo migliore amico è, in generale, il solo atto poetico ch’egli compia nel corso della propria esistenza.” (Marcel Proust, La Fuggitiva, traduzione Franco Fortini)
Se la ragione fosse qualcosa di reale, e non un’astrazione che non riesce quasi mai a conciliarsi con la vita, la vita stessa sarebbe lineare, impeccabile, moralmente inattaccabile e deprimente. Quando chi è stato tradito convoca il partner, che spesso tenta di sfuggirgli, per cercare di farlo ragionare e spiegargli i suoi errori, si trova di fronte un muro invalicabile che nessuno sforzo di razionalità potrà mai sfondare. Alla ragione si contrappone un motivo primario, che si basa solo in parte sul desiderio di un terzo. E’ qualcosa che prescinde dagli esseri individuali, una realtà più viva della realtà normale, l’esserci al quadrato o al cubo, che quando accade non ammette d’essere sacrificato. Sto parlando, naturalmente, di passioni vere, che si scatenano all’improvviso e senza alcuna premeditazione. Lei aveva, solo qualche giorno prima, detto che lui era l’unico uomo che poteva amare. Lui le aveva portato, la sera prima, un mazzo di fiori per dimostrarle un amore indubitabile. Era tutto vero, ma nessuno aveva pensato che potesse finire, da un momento all’altro. Lo sguardo di uno sconosciuto che in un millesimo di secondo collega l’esistenza ripetitiva di una donna al sogno fatto da bambina, il sorriso di una donna incontrata per caso che, per altrettanto caso, sembra assolutamente identico a quello di una ragazza conosciuta in un giorno di primavera di tanti anni prima, amata alla follia per non più di un’ora, e poi scomparsa. Tutto ciò ha la forza dell’assoluto, e fa crollare progetti, famiglie, mutui ipotecari e ogni altra specie di sicurezza. Voglio che tu mi dia delle sicurezze, diceva lei, ma poi, due anni dopo il matrimonio, incontrò un giovane bruno, sventato e inaffidabile, e abbandonò chi gliele avrebbe dovute dare. Di cosa possiamo incolparla, se non di avere creduto a un sogno? E se a quel sogno avesse resistito, se razionalmente si fosse detta che doveva rispettare il contratto che lei stessa aveva voluto, che ne sarebbe stato della sua vita? Che vita è, se è priva di quei momenti di bellezza e follia che mandano all’aria ogni cosa, per ricominciare tutto da capo?
Amanti e carnefici
“Che hai intenzione di fare, adesso?”, lo burlò lei. “Vuoi picchiarmi, forse? Per dimostrarmi quanto mi ami?”
“No”. E di colpo Frank si sentì fortissimo. “Oh, no. Non temere. Non mi prenderei certo un disturbo del genere. Non vali la fatica che ci vorrebbe per dartele. Non vali la polvere che ci vorrebbe per farti saltare in aria. Sei un vuoto …” Frank provava, mentre la voce gli saliva di tono, una sensazione di meravigliosa libertà perché i bambini non erano in casa. Non c’era nessuno, e non sarebbe arrivato nessuno; la casa echeggiante era tutta per loro. “Sei un cazzo di schifoso guscio vuoto, non una donna … “ (Richard Yates, Revolutionary road, traduzione Adriana Dell’Orto)
In un film di molti anni fa, “Il portiere di notte” di Liliana Cavani, un’ex deportata nei lager rivede per caso l’ufficiale tedesco che le aveva imposto, durante la prigionia, di diventare la sua amante. Anziché denunciarlo, la protagonista rinnoverà il legame con il suo carnefice, ed entrambi andranno verso l’inevitabile fine. L’opera, molto influenzata dall’ultimo Visconti, non è a mio parere straordinaria, ma riesce a mostrare con grande efficacia l’assenza di un limite netto tra sottomissione e amore. Tra un rapporto basato sulla piena armonia e uguaglianza e il legame morboso che si può formare tra la vittima e il suo carnefice, c’è naturalmente un abisso, ma all’interno dell’enorme spazio che li separa vi sono infinite possibili varianti, che non ci sono certo ignote. Amante e carnefice possiedono un altro essere: il primo grazie alla passione, il secondo con la forza. La vittima che immagina di potere essere consenziente, rendendosi così mentalmente complice di un delitto su se stessa, non è tanto diversa dall’amante succube, che pur in assenza di minacce fisiche accetta di sottomettersi a un partner dominante.
La vita sociale ha regole che impediscono la sopraffazione fisica del forte sul debole, i rapporti amorosi no. Una volta che si è detto il fatidico sì, e non parlo solo di matrimoni, tutto, o quasi, è lecito. Non lo è la violenza pura, ma basta molto meno per fare diventare schiava una persona debole. L’inevitabile, sublime e anarchico gioco della passione è la roulette russa della nostra esistenza. Ci si gioca la vita, il tutto o niente, si abbandona il tranquillo villaggio per tornare nella foresta. Gli istinti del dominante e del dominato tornano fuori, e la lucidità per respingerli talvolta si perde. Sfuggire alla polarità sadomasochista non è facile. Richiede consapevolezza dei limiti dell’amore e volontà di difendere il rapporto anche da se stessi. La coppia è come uno stato formato da due soli membri, di cui spesso uno è tiranno, senza saperlo.