Ines Cavicchioli
Dal materiale allo spirituale (ossia dalla Ragione al Sentimento)
Che strana cosa è la vita! A volte ci accadono cose assolutamente assurde, e per il dolore che ci procurano malediciamo il mondo intero, immersi come siamo nel frammento di tempo che, in quel momento, annienta la nostra mente, e con essa tutti i nostri sogni, lasciandoci immersi nell’umido vapore dei nostri sentimenti piegati dal dolore.
Come uomini abbiamo il dono di ricordare e di sognare, ma non di vedere ciò che il destino ci riserva: a volte ci accadono cose assolutamente insperate, ed altre volte, invece, quando tutto sembra pronto per essere raccolto come un succoso e dolce frutto, ecco che un contrattempo, o un imprevisto, si mette di traverso e quel che un attimo prima sembrava “realtà”, scompare improvvisamente.
Che dire quando ciò accade? Da giovani s’impreca, si maledice il destino avverso e tutti i Numi, ma da grandi, quando in qualche modo si è capito che il destino spariglia in continuazione la logica del nostro pensiero, e dà e toglie, al momento, per poi ridare e ritogliere in altri momenti, con effetti a volte sbalorditivi, s’impara a stare muti, ad accettare tutto quello che viene, consapevoli che il senso che abbiamo imparato a riconoscere nel nostro cammino terreno comprende quelle modalità, perché finalizzate al giusto nascondimento di quello che, nel tempo, si profila sempre meglio e sempre di più come un percorso individuale di vita.
C’è chi questo non lo capisce (e che forse non lo capirà neppure in altri passaggi di vita) perché è troppo attaccato alle cose materiali, a quelle da fare subito per avere un tornaconto immediato, e passa da un fine “materiale” ad un altro, ignorando, così, che il mezzo per arrivare alla comprensione dello scarto, ed all’individuazione del senso della vita non è altro che l’accettazione passiva di ciò che avviene, perché è solo da qualla posizione di calma e di attesa che si giunge a cogliere il frutto prodotto dalla trasformazione della materia in altro.
Altro come spirito, come consapevolezza che ogni uomo, ad un certo punto della sua vita, diviene, e si sente, tutti gli uomini che lo hanno preceduto, e che lo seguiranno; Altro perché in ogni uomo che si incontra c’è una parte di noi che deve essere riconosciuta, e ciò sarà possibile solo tramite quell’incontro, quel reciproco riconoscimento, quel sentirsi nell’Altro e in se stessi insieme.
Questo, in piccola parte, è l’Altro, è ciò che la vita ci nasconde sino a quando non abbiamo raggiunto la consapevolezza che ciò che ci riserva il destino non è solo il frutto di un nostro progetto, ma la combinazione di molte apparenti casualità, che vanno colte nella loro relazione, nel senso che, tutte insieme, esprimono, nel momento che li ha fatti incontrare, affinché il nostro progetto inconscio disveli la maestosità del sogno che contiene, la forza di una visione che va oltre la materialità del vivere quotidiano ed abbraccia, invece, l’incommensurabilità del fato, quella ineludibile necessità del destino di far convergere gli strani disegni in un progetto di vita che, improvvisamente, si svela, perché finalmente siamo in grado di leggere le tracce di quel percorso.
Il disegno di una vita si coglie riempiendo il vuoto che c’è tra un individuo e l’altro, perché è nel senso della relazione che prende forma il senso delle cose da capire, quelle che ci permettono il distacco dall’agire materiale in funzione di un pensiero più evoluto, che porta alla consapevolezza di sé e del nostro esserci.
Noi, gli altri e il vuoto che ci divide: da colmare per capire, per capirci e farci capire, per un reciproco riconoscimento, per uscire dalla solitudine e dalla contrapposizione, per trovare, così, la strada che porta ad anticipare quella che sarà la dimensione sentimentale collettiva: quello stato di energia che sopravvive ad ogni essere e si pone come continuità dopo l’incontro con il proprio limite individuale di durata.
Se la prima parte della vita porta alla individuazione del sé, e con esso alla consapevolezza del proprio essere nella differenza dall’altro, cosa che comporta una netta separazione tra ciò che ha colto la mente e ciò che ha avvertito il sentimento, la seconda parte è quella della emancipazione dai bisogni materiali, in funzione dell’appagamento di quelli spirituali, che induce alla ricerca di un sé superiore, di qualcosa di non dissimile, ma in senso cosmico, da quello che è stato il nostro punto di partenza: la sensazione di essere tutt’uno con chi ci ha generato.
L’evoluzione di un pensiero spirituale si esplicita nella ricerca del senso da dare al vuoto che separa un individuo dall’altro, nel concepire una dimensione che agisca in maniera diametralmente opposta a quella materiale (che, per mezzo dei sensi e della ragione, separa gli uni dagli altri, e con questo favorisce il determinarsi di una identità individuale); la dimensione spirituale agisce per superare la separazione della materialità del nostro essere in funzione di qualcosa che ci unifichi per quello che sta oltre quel limite.
Già nel passaggio da una cultura materiale ad una spirituale si colgono gli elementi che collocano l’individuo oltre questa separazione: se nell’incontro con l’altro da sé c’è un riconosciumento di sè né nell’altro, è segno che l’altro potrebbe non riflettere solo una nostra virtuale peculiarità, ma potrebbe, egli stesso, contenerla, ed è appunto questo l’elemento base che attiva la dimensione sentimentale, l’idea della propria partecipazione all’altro, dell’essere l’altro, esattamente come avveniva all’inizio della nostra vita, essendo immersi, come allora, nella dimensione che unifica e che per convenzione abbiamo chiamato amore.
Lo sviluppo di un persiero spirituale non solo porta al superamento del distacco dalla materia, ma anche, nell’ambito di una dimensione amorosa aggregante ed unificante, a qualcosa che annulla ed insieme contiene l’idea di individualità, a qualcosa che comprende ed unifica le tante individualità, senza annullarne in alcun modo la coscienza.
Questa è, in qualche modo, la coscienza cosmica: l’idea di partecipazione al tutto tramite la propria coscienza individuale, frutto del conseguimento di una identità individuale, cui segue quello di una coscienza individuale, che contiene, ed a sua volta è contenuta, da un’altra collettiva, unificante ed eterna.
La coscienza di un sé superiore non può concepire l’esistenza di una singolarità separata e disgiunta da una collettività, come pure non può comprendere una collettività che non sia composta da infinite individualità: nel sentimento contengo tutte gli esseri che ho amato; e il sentimento che provo per tutti gli esseri che ho amato mi contiene e ci unifica.