Nicoletta Poli
Bambara, tratto da "Erzulie"
Al risveglio Giulia è colta da un'atmosfera calda e bianca, quasi inquietante. L'acqua nel bicchiere, la faccia dell'infermiera, le lenzuola, il sudore. Tutto caldo, tiepidamente malato.
Quando si e` riusciti a sfuggire vivi da una girandola di follia, il rapporto con i propri cinque sensi e` quanto di più inaspettato possa capitare. Si rientra nel quotidiano, ne esci, ci si ritorna. Si pensa con preoccupazione che le cose terrene ti avranno dimenticato e che niente sarà più come prima. E` come aver subito una metamorfosi genetica.
Si ha l'impressione che persino il proprio nome si sia guastato per sempre e che bisognerebbe solo nascondersi.
Il dottor Krupp - nella stanza fra quella di Mario e di Wrumel – osserva Giulia che farnetica nel sonno su una certa Erzulie. Dice di essere lei, Erzulie.
L’assistente gli legge le generalità della paziente, compreso il fatto che è stata un’antropologa. Abita a Milano ed è già stata in cura per problemi di depressione, ma non nella stessa clinica.
- Il marito?
- Morto più di dieci anni fa’. Antropologo anche lui.
- Nessun parente?
- La sorella, ma abita a Londra. E’ stata avvertita, arriverà domani… e poi, sì una figlia... ma gliel’hanno tolta, vive a Milano.
- Perchè gliel’hanno tolta?
- Era la sua figlia adottiva, non era più in grado di tenerla… così...
- Come si chiama?
- Denise, credo, è haitiana.
Krupp interrompe il collega bruscamente, vuole sapere che farmaci le hanno dato. Poi licenzia tutti, vuole rimanere solo con Giulia. La osserva nel risveglio, mentre lei sgrana gli occhi e non capisce.
- Giulia?
Uno sguardo da cane. E Krupp ha un moto improvviso di ribellione nei confronti del suo lavoro.
- Mi sente, Giulia?
Giulia lo guarda con l’occhio opaco.
- Giulia, sono il dottor Krupp, il suo psichiatra. Le va di parlare un po’?
- No, ora no, sono tanto stanca.
Ed il suo invito è una preghiera. Però, pensa Krupp, non è male. Vedremo domani. Sono sicuro che mi racconterà. E’ una che vuole parlare.
Esce dalla stanza con il pensiero di Erzulie in testa.
***
- Denise! Denise! Sono ore che ti chiamo!
Quella bambina aveva la capacita` di sparire da un momento all'altro con una facilita` inspiegabile. Da quando l'avevo portata con me a Milano, mostrava una chiara predisposizione a non voler essere ne` dissuasa ne` rimproverata. Mi metteva costantemente alla prova, certe volte avevo l'impressione che godesse nel farmi ammattire.
Arrivando correndo, mi butto` le braccia al collo e mi porse un libro aperto a meta`.
‑ Maman Giulia regarde, dans ce livre le secret!
‑ Quale libro?
‑ Regarde, maman, papillon!
Quando era eccitata parlava sempre in francese.
‑ Si dice farfalla, Denise. Lo vuoi parlare o no l'italiano!
Pronunciata meccanicamente la parola, torno` a ripropormi il problema ancora più eccitata. E con orgoglio mi mostro` l'insetto di colore scuro tutto spiaccicato li`, tra le pagine del libro.
‑ E` questo il segreto?
Al mio tono duro Denise rispose rimanendo in silenzio, quasi umiliata. Sentii di non poter sfidare un gesto cosi` elementare compiuto da una bambina. Da antropologa avrei dovuto sapere che i bambini sono crudeli. E Denise aveva cinque anni. Allungai la mano sulla testa bruna e le feci una carezza invitandola a sedersi a tavola. Divoro` tutto con un appetito formidabile senza dire una parola per tutta la cena. Poi, con gli occhi rivolti al soffitto, mi chiese se poteva tornare a giocare. Al mio cenno d'assenso sgambetto` tutta contenta verso la sua cameretta e solo dopo un bel po' si riaffacciò dalla porta della cucina, tenendo in mano un fagottino di stoffa nera. Era scura in volto, come se fosse stata redarguita da qualche sconosciuto. Mi stavo avviando verso di lei per consolarla, quando mi fermò tenendosi stretto il fagottino nero, quasi facendosene scudo.
‑ Denise ‑ le dissi dolcemente ‑ che cosa ti è successo?
‑ Maman, c'est mort!
E aprì il fagottino nel quale aveva deposto la farfalla.
Povera bimba, voleva farmi credere di non averla ammazzata lei e che, anzi, si apprestava inconsciamente a predisporre un funerale con tutte le onoranze del caso. Ma fu il gesto successivo che mi preoccupò. Mi prese per mano e mi condusse davanti al camino acceso. Non lasciando nemmeno per un attimo la mia mano, gettò il fagottino nel fuoco. Rimanemmo lì a lungo, l'una accanto all'altra, mentre Denise era perfettamente immobile rapita dal fuoco. Allora l'abbracciai teneramente. Lei non si scostò, ma pareva lontana.
Quando iniziò a piangere, mi rincuorai. Ma provai, al tempo stesso, un senso di smarrimento.
***
Quando decidemmo di adottare Denise fu un giorno di gran festa per me e Mario, mio marito. Il fatto di non poter aver figli non era mai stata una vera e propria tragedia, ma toccare quel tasto ‑ le rare le volte che lo si faceva ‑ c'imbarazzava profondamente. Considerato che il problema non era mai stato risolto fino in fondo, quel giorno decisi di affrontare l'argomento senza pudori. Io lo volevo un figlio, lo volevo a tutti costi. Quando tentai di far girare il discorso su una possibile adozione, lui sorrise con molta dolcezza e, per tutta risposta, mi fece cenno di avvicinarmi indicandomi al di la` del giardino una finestra illuminata. Del tutto visibile, dentro la cucina, si muoveva una donna, probabilmente sola, che dava da mangiare a un gatto. Mi abbraccio` e mi disse che avevo ragione, che` tanto lui non sarebbe sopravvissuto in eterno. Io lo schernii rimproverandogli che si considerava eterno o no a seconda di come gli girava la luna. Ma l'importante era che lui avesse capito. Per tutti i giorni successivi mi parve provato ma sereno e quel suo "Del resto, prima o poi ci si doveva arrivare!" esplose una sera con un sospiro di sollievo dopo chissà quanti conflitti interiori. Poi s'illuminò e tentò di rassicurarmi, dicendo che ogni cambiamento suscita qualche paura, ma che avremmo affrontato tutto con serenita`.
Io ero al settimo cielo. Felice, ma anche cosciente del fatto che ottenere l'adozione avrebbe richiesto molta pazienza e molto denaro. Brindammo e facemmo l'amore come se fossimo li` a salvaguardare gli ultimi spazi di liberta`.
La notizia arrivo` circa un anno dopo. Partimmo per Port au Prince, nell'isola di Haiti.
***
Nel percorso che va dall'estrema periferia di Port au Prince al luogo che ci avevano indicato per far la conoscenza di Denise, mi sentii cogliere da una strana ebbrezza. Dopo una cinquantina di chilometri sulla strada che costeggia il mare, ci inoltrammo in una viuzza strettissima, che si infilava nell'interno. Non si vedevano che le alte canne da zucchero verdi e quella via ciottolosa che diventava mano a mano sempre piu` angusta ed accidentata. Immaginai che vi fossero altri villaggi vicini, ma era impossibile vedere le capanne attraverso quella vegetazione foltissima che a tratti si spingeva ad invadere non solo il sentiero tortuoso, ma anche l'abitacolo della macchina. Cosi` all'ebbrezza che avevo sentito appena lasciata alle spalle la citta`, si sostitui` un senso di grande solitudine. Dopo un tempo imprecisato, ci trovammo in una strada sterrata più larga, dove la canna da zucchero aveva lasciato il posto ad un'alta staccionata oltre la quale si vedeva una costruzione in muratura col tetto in lamiera ondulata e una specie di gazebo col tetto di paglia. L'atmosfera era carica di odori pesanti, quasi dotati di un loro spessore, che, mescolati alla calda umidita` dell'aria , mi diedero, per un attimo, un senso di vertigine.
Denise apparve improvvisamente. Era pulita ma accaldata e indossava una tunichina bianca. Il contatto epidermico con lei fu come l'incontro con la folla brulicante di quell'isola. Dovevo evitare di pensare alla polvere ed a quell'incessante scalpiccio di piedi scalzi sulla sabbia e sulle strade. Ora però dovevo solo tuffarmi incurante in lei, nella sua pelle scura e in quegli occhi così malinconici. Avremmo avuto ancora due giorni per visitare Haiti e i suoi stridenti contrasti. Mio marito, sicuramente piu` interessato di me alle vicende dell'isola, mi trascino` dappertutto, perfino a vedere le bidonvilles. E ogni tanto, per scimmiottare una esclamazione diffusissima fra gli haitiani, diceva ridendo "si bon Dieu vle'", cioe` se il Buon Dio lo permette. Come se la presenza di Denise portasse ad essere fatalisti, pensavo, ma erano tutte assurde contorsioni mentali. Ma a me non importava, ero felice.
L'ultima alba passata ad Haiti fu cadenzata dal rintocco delle campane che salutano il giorno che nasce. Con l'avanzare del mattino, il suo rimbombare ovattato e ritmato volava e si disperdeva nell'aria lasciando il posto ai mille rumori del villaggio, ai brusii della remota campagna. Ma l'impressione piu` forte veniva dall'odore dei mercati locali. Gia` fin dalla prima mattina si snodavano verso la zona del mercato a lunghe colonne disordinate uomini, donne e bambini. C'erano vecchi - anche se mi chiedo tuttora se lo fossero davvero- che si trascinavano sotto un sole impietoso fino al mercato, riponendo poi la propria merce alla rinfusa in un posto qualsiasi. Si era spesso attorniati da nugoli di bambini di diversa eta` che urlando chiamavano la propria madre o il fratello piu` grande. Le donne ‑ alcune bellissime ‑ portavano per mano i bimbi piu` grandi e, allacciati alla vita, gli ultimi nati. Parevano rassegnate a quel carico quotidiano, cosi` come non si ribellavano a mosche e insetti di ogni genere attratti dall'umidita` dolciastra della loro pelle sudata. Non si comprendeva ‑ se non seguendo questa caotica processione ‑ se la gente andasse a vendere o comprare. Portavano sul capo enormi panieri o catinelle di smalto e plastica con un bel portamento retto.
Una mattina, d'un tratto, un angolo un po' appartato ma non nascosto, mi colpi` piu` degli altri per il tipo di merce esposta, diretta evidentemente ad una clientela speciale. La prima cosa che balzò agli occhi fu la varieta` di panieri ripieni di foglie, semi, bacche, sassolini, conchigliette, scorze d'albero e polveri di diverso colore e consistenza. Vicino ai panieri erano disposti disordinatamente oggetti rituali di metallo, legno ed osso. Mario, captando la mia innata curiosita` per l'occultismo , mi chiese, ridendo, se m'andava di girare per qualche tempio alla ricerca della "pierre tonnerre", la pietra sacra degli haitiani. Gli stavo dicendo di si`, che mi sarei divertita tantissimo, quando mi accorsi di uno spettacolo ripugnante. Su un telo color sabbia erano messi in bella vista teschi di uccelli, serpenti, mammiferi, allineati accanto ad ossicini e a cadaveri di topi ed altri piccoli animali nei loro diversi stadi di putrefazione. Mi voltai verso di lui in preda ad una nausea disperata e mi allontanai in mezzo a quella folla fitta e mobilissima. Appena fuori dal mercato, dove ancora si esponevano un pesce, un magro pollo, qualche frutto, un pugno di verdura o poche uova - povere ricchezze che si tentava di barattare con qualche oggetto - lui mi abbraccio` forte dicendomi che non dovevo impressionarmi, chè quello era un luogo dove poverta` e religione si incontrano e si fondono l'un l'altra. Gli risposi che per me era solo un luogo di barbarie e incominciai a piangere senza riuscire a fermarmi. Lui , diventato d'un tratto serio, m'intimo` con un tono duro di smetterla e si mise a raccontarmi che ad Haiti ed in molti altri luoghi che praticano certe antiche religioni, in occasione di grandi calamita`, venivano fatti sacrifici umani.
- Sono sacrifici di sangue , offerti in alcune citta` dove alcuni muri di argilla del palazzo reale sono stati addirittura impastati con il sangue delle vittime sacrificate durante particolari riti! Inorridii. La vita e` traboccante di fluidi, umori, sostanze invisibili che s'intrecciano fra loro per propagare ancora vita. Forse quella gente pensava che ogni nuova vita fosse necessario compensarla, per un macabro processo osmotico, con la morte. Per ogni chilo di felicità, un chilo di infelicità. Una bilancia della vita ed una bilancia della morte. Fatto sta che Mario, un anno dopo, se lo portò via la bilancia della morte.
***
Denise si stava affaccendando con delle conchiglie intorno al camino spento. Le aveva raccolte silenziosamente, per tutto il pomeriggio, lungo la spiaggia
- Maman Giulia ‑ grido` felice facendomele racchiudere tutte nella mano ‑ ecco!
"Ecco" e` una parola che aveva imparato subito, fin dal primo mese di vita in Italia. La pronunciava gioiosamente anche perche` le risolveva molti problemi di costruzione sintattica e semantica. Poi si diresse correndo verso la scala che scendeva dalla terrazza al giardino dove frugo`a lungo nell'aiuola vicino ai giacinti per tirare fuori, alla fine, un sacchetto. Copri` con la terra il buco fatto e torno` in casa. Mi ci volle un bel po' di pazienza a convincerla che avrebbe dovuto confidarsi con me sul contenuto del sacchetto. Aveva uno sguardo impaurito, come se non avessi alcun diritto di farle svelare un segreto cosi` intimo. Con pazienza le presi la mano e la feci sedere sulla panchina davanti alla porta di ingresso. Nonostante le mie esortazioni con occhiate sorridenti e le carezze sulle braccine scure, il silenzio duro` molto a lungo. Sembrava non accorgersi assolutamente della mia presenza.
- Cosa c'e` in quel sacchetto?
- Cauri, maman Giulia!
Li` per li` pensai che avesse inventato tutto, compresa quella assurda parola, ma mi ricredetti quando docilmente slego` il sacchetto e rovescio` sulla panchina il contenuto. Erano piccole conchiglie, probabilmente molto rare, data la graziosissima forma. Forse ad Haiti si usavano come ornamenti , gioielli, forse venivano montate su collane o bracciali o per abbellire certe complicate pettinature femminili.
‑ E perche` le nascondi?
Silenzio. Sembrava non avesse capito e mi spiegai meglio anche con dei gesti.
‑ Perche` cauri sotto terra?
Raccolse le piccole conchiglie con la mano destra senza rimetterle nel sacchetto e mi prese la mano guidandomi verso il camino. Con un gesto imprevedibile quanto rapido, le getto` tutte sulla stuoia davanti al camino. I cauri rimbalzarono sordamente andando a disporsi in vari punti e anche sul pavimento nudo.
Rimasi oggettivamente sorpresa quando rividi il suo sguardo vuoto e immobile, come se attendesse un responso, certamente non mio.
- I giacinti, maman, non li toccare, per piacere.
Poi si rifugiò fra le mie braccia e pianse.
***
Il delineare strane figure nel buio, dottor Krupp, era sempre stato un mio divertimento fin da bambina. A volte erano solo contorni vaghi e suggestivi di personaggi assolutamente fantastici dalle fattezze mostruose. Eppure quei mostri, che a me non parevano tali, mi trasmettevano, nella mia fertile immaginazione, i loro poteri magici. Cosi`, in virtu` di quei poteri, diventavo invisibile e mi avventuravo a spiare dai vetri delle case vicine. Quasi sempre era inverno e, tra i ghiaccioli appesi ai vetri, solo qualche spiraglio mi permetteva di osservare cio` che era puro frutto della mia fantasia. "Semel in anno licet insanire!" ‑ diceva mio padre ‑ Ed io ridevo sotto i baffi pensando che non avrebbe mai saputo di queste mie fantasticherie con cui convivevo altro che una volta all'anno. Mi sentivo una pianta bizzarramente fiorita in un ambiente non suo, dopo essere stata innestata di rami nuovi e stravaganti. Ma quel sogno non fu come una sorta di sospensione creativa fra il sonno e la veglia, fu come una rivelazione primitiva.
Pescavo nelle acque di un fiume e d'un tratto rimasi colpita dalla bellezza di un fiore color malva che galleggiava sull'acqua. E piu` il mio sguardo si allargava, piu` ne apparivano di nuovi distesi sui bordi del fiume, dando l'impressione di un tappeto lunghissimo. Avvicinandomi con una strana piroga , mi misi a raccoglierli con voracità, senza accorgermi che, mentre li coglievo, stavo per essere trasportata dal vento in altri luoghi fra una vegetazione sconosciuta. Me ne resi conto solo quando vidi Denise che nuotava nelle acque con uno strano sorriso sulle labbra. Per raggiungerla mi buttai dalla piroga nella corrente calmissima fra le foltissime radici dei giacinti d'acqua con una strana sensazione di terrore che diventò insostenibile quando le lunghissime radici dei fiori incominciarono improvvisamente a imbrigliarmi impedendomi ogni movimento. E dibattendomi nel tentativo di liberarmi, mi ritrovai abbracciata a Denise che, con lo stesso sorriso di prima, mi spingeva verso il fondo scuro delle acque del fiume.
Mi svegliai al pianto di Denise, mentre stavo sprofondando lentamente nella morte. Quando riuscii a tornare a letto mi ricordai dei giacinti nell'aiuola in giardino e mi addormentai quasi tranquillamente.
***
‑ Giulia, lo sai che se non mi dai il permesso, non ti amo!
‑ E tu credi che io te lo dia?
‑ Sì, credo di sì.
‑ E da che cosa lo deduci?
‑ Dal fatto che appena ne parlo ti vengono le orecchie rosse!
A quel punto il gioco finiva. E ogni volta che finiva mi sentivo malinconica come se mi portassero via un po' di giovinezza. Restava lui e la sua risata di prammatica dopo aver pronunciato "orecchie rosse"; sicche` finivo per spazzare via quei pensieri in un attimo, pensando banalmente che , tutto sommato, non era cosi` orribile invecchiare, finche` si aveva ancora voglia di giocare.
Alla fine dell'estate, Denise aveva avuto una brutta influenza che c'impedi` di partire tutti insieme per l'Olanda, dove Mario aveva da sbrigare alcune faccende di lavoro. Parti` di notte dall'aereoporto di Milano, senza che riuscissi nemmeno ad accompagnarlo. L'autunno in Brianza si distendeva nebbioso, preannunciato da frequenti piogge e forti abbassamenti di temperatura. Il giardino , in quel suo aspetto un po' decadente con le chiazze di foglie rosse sull'erba ed i giacinti sfioriti, mi faceva pensare ad un fiume prosciugato.
La notte stessa in cui lui partì, Denise ebbe un attacco d'asma talmente forte, da dover chiamare con urgenza il medico, che la trasferì immediatamente in ospedale per metterla in osservazione. Quando giunse l'incredibile notizia, la bambina si era appena rimessa da un paio di giorni, ma stava sottoponendosi a tutte le prove allergiche possibili.
La morte di Mario mi colse impreparata. Il racconto dell'incidente aereo mi diede per molto tempo la sensazione di frugare nell'infinito dell’aria alla ricerca del suo sorriso senza mai trovarlo. Se solo un giorno l'avessi ritrovato, allora lui lo avrebbe fatto sentire solo a me.
Nei primi mesi in cui io e Denise rimanemmo sole, lei diede chiaramente segno di comprendere il mio stato d'animo. Se ne stava spesso ‑ composta e misurata nella sua stravaganza ‑ a giocare in silenzio o ad imparare l'italiano con l'aiuto di un'insegnante che aveva sempre goduto della fiducia mia e di Mario.
Io sentivo dentro un indeterminato senso di resa che offuscava frequentemente la mia capacita` di ragionare e andare avanti. Non facevo che scrutare l'aiuola dei giacinti e curare il giardino. Ogni tanto, nelle notti di luna, camminavo su e giù per il giardino e stavo per delle ore a pensare seduta sulla panchina sotto l'olmo. Mi rasserenava il chiarore della ghiaia e ,alzando gli occhi verso il terzo piano della casa accanto, mi consolava vedere una finestra spesso illuminata fino all'alba.
Non ero mai riuscita a scoprire chi fosse nascosto in quella casa e quella sera rimasi ad aspettare a testa bassa sulla solita panchina. Ma mi stancai presto di rimuginare e mi misi a girare in lungo e in largo, buttando un occhio verso il giardino illuminato del mio vicino nottambulo. Così, con enorme sorpresa, mi accorsi che aveva costruito, proprio sotto il pretenzioso lampione in ferro battuto, un'aiuola a sette lati con, a capo di ogni angolo, un fiore differente. Perfettamente al centro, come se tre rette immaginarie convergessero in un punto preciso, spuntava un giacinto color malva.
Stupefatta per la meraviglia dell'aiuola e lo strano intreccio di messaggi quasi sottintesi, una mattina scesi in giardino e aspettai l'uscita del misterioso vicino. Mi colse di sorpresa mentre incitavo Denise a non calpestarla....
‑ Lei lo sa che il numero sette regola gran parte dei piu` importanti cicli vitali sulla terra?
Mi voltai e vidi una signora di mezza eta` piuttosto bella, gradevole. Le sorrisi e, senza chiederle il motivo della sua intrusione verbale, le risposi che "no, non ci avevo mai pensato".
‑ Chi e` a contatto con la natura come lei ‑ insistette quasi con pedanteria ‑ deve sapere che il ciclo della vita e della morte sulla terra e` connesso al crescere e decrescere della luna nel percorrere il suo ciclo infinito di genesi e metamorfosi nel cielo!
La interruppi cercando di sciogliere il nodo di un'intromissione forse anche interessante ed erudita, ma a me intollerabile.
- Il ciclo lunare ha sempre esercitato su di me un certo fascino,ma non credo che avrò mai il tempo per occuparmene!
Ma questa volta non riuscii a fermarla.
‑ Ha mai pensato che il ciclo lunare e` formato da quattro fasi? E che ciascuna di queste dura sette giorni? E se ci pensa bene, si renderà conto che anche il nostro corpo subisce l'influsso di cicli settenari: ogni sette anni rinnova tutte le sue cellule, le mestruazioni delle donne avvengono secondo cicli di sette per quattro giorni e durano mediamente tre giorni e mezzo (cioe` sette diviso due). Per non parlare poi del volto dell'uomo che ha sette orifizi e per non contare quanto nella natura e` raggruppato in ordine di sette: i colori dell'arcobaleno, le note musicali, le sette meraviglie del mondo!
Quel senso di irrealta` e follia che traspariva nettissimo da lei si dissolveva nel suo bel viso con gli occhi chiari. Era difficile, osservandola piu` a fondo, darle un'eta` precisa. Incuriosita, le chiesi‑ scusandomi per la mia indiscrezione‑ se abitava sola. Disse con fermezza e con una punta di orgoglio che non si era mai sposata e che era andata in pensione lo scorso anno, perche` voleva dedicarsi completamente alle letture e al giardinaggio.
‑ Il suo giardino e` splendido!
Mi complimentai glissando sul discorso dell'aiuola. Ma lei non lo evito`.
‑ Lo stava guardando da un paio di giorni, non e` vero? Cosa vuol mai, sono affascinata dal numero sette, sono perfino nata settimina!
E si mise a ridere, di una risata assolutamente innocua, quasi infantile. Imbarazzata, mi congedai con la scusa della bambina, invitandola a fare due chiacchiere quando ne avesse avuto voglia. Acconsentì rispondendo che si sarebbe fatta viva molto presto. Poi mi tese la mano.
‑ Erzulie, piacere.
***
‑ Stanotte saremo tanto felici, vero Denise?
Ero ancora suggestionata dalle sue stranezze e ogni volta che aveva atteggiamenti affettuosi e semplici mi stupivo. Quella sera mi aveva perfino aiutata a sparecchiare la tavola porgendomi i piatti e la saliera. Mi ero avvicinata per un lungo abbraccio, convinta che sarebbe fuggita, ma non fuggi`. La misi a letto e mi trovai immersa anch'io, poco dopo, in un sonno profondissimo.
Mi svegliai al suono di piu` tamburi. Eravamo in un folto numero, tutta gente di colore tranne me, seduti a cerchio intorno ad una vecchia negra alta e robusta che sembrava colta da convulsioni e tremiti. Si agitava e cantava una cantilena ripetuta all'infinito: un inno, credo, in onore di un certo Ezili. E se le parole mi risultavano incomprensibili, non così il suono, tanto che lo imparai quasi subito. Così con quella gente cantavo anch'io, senza conoscere il senso eppure coinvolta:
“ Ezili elu
A la Loa ki red
Ezili u made` kocho
m'ape ba u li
Ezili made` kabri de` pie`
kate` pum pra pu ba li!".
Annichilita, me ne stavo lì, in un angolo, a tentare di decifrare quelle parole, quando alla donna negra fu consegnato un maiale nero o dipinto di nero. Con uno scatto animale, immerse un lungo coltello nella gola della bestia, ne raccolse il sangue caldo in un largo recipiente e lo offri` a ciascuno dei partecipanti che a turno bevvero giurando obbedienza a Ezili.
Mi trovai, come per incanto, non solo dispensata dall'assaggiare la macabra bibita, ma improvvisamente catapultata fuori dalla cerimonia in una tempesta tropicale. In compagnia di una vecchia annaspavo spaventata in una casa enorme piena di strani animali. Erano bizzarri incroci fra cani e gatti, vermi e maiali, piccoli mostri , ma sorridenti e probabilmente innocui. La donna mi condusse in un antro praticamente disarredato con un solo tavolo al centro, senza sedie attorno. E qui il suo atteggiamento improvvisamente cambio`. Mi ordino` quasi con durezza di gonfiare un palloncino mentre insisteva nel ricordarmi questa data: 22 agosto 1791. Il palloncino giallo, gonfiandosi piano piano e prendendo forma si materializzò in un machete dal quale ‑ mi disse ‑ mi sarei dovuta difendere sempre," perche` la mia vita era sotto il suo segno". Ma anche lei svanì e mi ritrovai in una fittissima foresta tropicale con in braccio Denise e nella mano destra il macete per aprirmi la strada. "Denise, vedi che ci stiamo avvicinando!" urlavo.
E quando aprii gli occhi la vidi lì in piedi, accanto al letto, con lo sguardo fisso di certi momenti. Silenziosa, mi prese la mano e la strinse forte.
Dopo quel sogno terribile, dottor Krupp, mi decisi a buttare via tutti i coltelli grossi o qualsiasi altro oggetto potesse assomigliare ad un machete. In fondo tutto quello che stava accadendo non poteva essere messo in relazione se non con un momentaneo squilibrio psichico dovuto alla morte improvvisa di mio marito. Stavo pagando il prezzo di un'assenza che, per non gettarmi nella prostrazione, mi dava l'enorme vantaggio di conoscere i culmini e gli abissi della mia psiche.A rendere ancora piu` dettagliato e veritiero il quadro di una malattia di origine nervosa, erano subentrate seccanti febbriciattole serali che scomparivano la mattina dopo. Sentivo che, nonostante la paura di avere chissa` quale malattia, ne sarei uscita fuori. Il problema era la notte, quando mi attendevo sempre di veder comparire da un momento all'altro qualche figura bizzarra.
Dal giorno del colloquio in giardino, Erzulie aveva preso l'abitudine di venire a trovarmi quasi regolarmente. E col tempo diventò l'unico essere umano con il quale scambiavo quattro chiacchiere e qualche impressione sul mondo. Si offriva spesso di prepararmi un infuso di menta e tiglio, che ,diceva con la sua solita sicurezza, avrebbe calmato le mie febbri di origine nervosa.
‑ Sai Erzulie, mi sto chiedendo da quanto tempo vivi qui. Quando sei arrivata chissa` dov'eravamo io e Denise per non notare alcun trasloco!
‑ Ormai e` quasi un anno, dalla primavera scorsa, non ricordi?
***
I suoi sorrisi erano vagamente stereotipati, ma avevano la capacita` di mutare inaspettatamente l'espressione degli occhi chiari, che diventavano tutte le volte due fessure allungate e sfuggenti. Con quegli stessi occhi prendeva in braccio Denise e, dandole un buffetto sulla guancia, le faceva sempre la stessa domanda:"Ti va di fare un giro in giardino?". E cosi` se ne andavano, mano nella mano ed in assoluto silenzio, a passeggiare lungo il perimetro della siepe. Qualche volta Denise si scatenava in una corsa impazzita in lungo e in largo senza meta, mentre Erzulie le urlava: "Fermati, Denise, non sai che oggi e` il primo giorno di luna?". Denise non capiva e allora Erzulie glielo ripeteva in francese lentamente. A quel punto intervenivo io, pregandola di non indottrinare troppo la bimba. Erzulie lì per lì s'irritava , ma poi mi rispiegava daccapo la pappardella dei cicli di luna ed io mi calmavo.
‑ Il primo giorno di luna, crescente o decrescente che sia, e` l'ispiratore di una somma di pensieri benefici, infonde nuove energie e da` coraggio alle nuove prove!
‑ E allora?
Il mio tono un po' scanzonato - ma soprattutto incredulo - la faceva accigliare appena appena. Continuava con una costanza invidiabile: "E allora bisogna pensare di essere come una pianta e star li` a prendere i raggi della luna. In silenzio, come una bella lucertola al sole!". Quella frase ‑ sempre la stessa ‑ mi confortava moltissimo e col tempo mi resi conto che il mio "E allora?" era un modo indisponente ma efficace per fargliela ripetere.
Un giorno le chiesi spudoratamente se credeva in Dio, ma mi rispose che non si sentiva di parlarne. L'indomani però mi porto` la piccola riproduzione in rame di un pentacolo; riproduzione , disse , di un'opera proveniente dalle Catacombe e conservata nel Museo di San Giovanni in Laterano. Raffigurava un foro possente, la cui luce si allungava sopra uno spazio che si voleva far pensare illimitato. Mi spiegò che rappresentava la speranza di un felice approdo per le imbarcazioni costrette a navigare sul mare agitato e che me lo regalava.
Cosi` priva di "corredo liturgico" com'ero accettai il dono apparentemente entusiasta, ma con scetticismo. Il mio ateismo era stata una conquista troppo difficile perche` me ne potessi liberare d'un sol colpo con un pentacolo. E perfino riprodotto. Un paio di giorni dopo a Denise venne una febbre altissima. Il medico non trovo` traccia di malattia alcuna e m'invito` a tranquillizzarmi, consigliandomi di portare al piu` presto la bimba da uno psicoterapeuta. Chissa`, forse quelle febbri alte improvvise o quegli attacchi di asma erano semplicemente di origine psicosomatica. Mi sentivo in uno stato d'animo di profondo smarrimento e di grave sconforto, convinta che non sarei mai riuscita a comprendere mia figlia. Di lei, nonostante l'affetto, captavo con trasparenza il fondo oscuro, il suo spavento antico per il nostro mondo profano. La vivacita` ciarliera, ingolfata dalla non perfetta conoscenza della lingua ,era sempre del tutto casuale e , quel che era peggio, non pareva nemmeno infantile.
Avevamo appena finito di cenare, quando una sera Denise incomincio` a tossire violentemente. Mentre le guance le si arrossavano per lo sforzo e stringeva forte le mie mani, tentò di dirmi qualcosa. Li` per li` mi fu impossibile capire, poi mi resi conto che si sentiva evidentemente un formicolìo intenso e diffuso, tanto da farla agitare tutta, come se avesse piccole bestiole disperse all'interno del suo corpicino. Ero intenzionata ad accompagnarla in bagno, quando la vidi far cenno di voler vomitare e qui accadde un fatto orribile. Denise comincio` a sputare violentemente sul tappeto del bagno una manciata di chiodi che, per lunghezza e quantita`, non era concepibile potessero essere stati tenuti nascosti nel cavo orale. Esterrefatta mi trovai ad aprire la bocca per gridare e per chiedere aiuto. Ma, come capita soprattutto nei sogni, la voce non usciva.
Chè di un sogno realmente si era trattato: Denise, davanti a me, seduta al tavolo di marmo in cucina, mangiava una castagna ridacchiando.
***
Si stava avvicinando la primavera ed il giardino sembrava attraversato da un'aria limpidissima. Era tutto un rumore di compositi corpi vegetali che vivevano li`, sopra e sotto la terra. Erzulie continuava a celare le forme di una scienza" giunta al senso delle sette meraviglie" e m'indicava ogni volta un tragitto che ero impossibilitata a compiere per mancanza di energie, sostenevo io. Ma non era proprio così, ero semplicemente infastidita dai suoi racconti. Le estenuanti narrazioni sui cicli lunari e sui pentacoli non solo non m'interessavano, ma le ritenevo anche pericolose. Spesso le facevo delle domande solo per rompere certi silenzi. Sentivo allora , da parte sua un inevitabile svigorimento emotivo, che finiva per celare sotto un silenzio pesante. Io, Erzulie e Denise stavamo diventando, nella mia mente, tre figure insensate. Ognuna di noi con dei drammi le cui ragioni rimanevano oscure. In torno c’era sempre un’aria di quiete fatiscente. E perdipiù, certe volte, non riuscivo a cogliere un rapporto anche vago tra noi e tutto cio` che era reale.
‑ Erzulie, hai mai pensato chi siamo? E che stiamo a fare in questo mondo?
‑ In un certo senso, Giulia, a vedere di pensare il piu` possibile una cosa esatta.
Lei aveva sempre una risposta per tutto, sembrava non stupirla mai nulla, sembrava avere una conversazione inesauribile. Ma quella volta, dopo la sua arguta osservazione, calò un silenzio freddo, assolutamente inusuale. La guardai e mi accorsi di averla costretta a ricordare qualcosa che la buttava come giu` da un precipizio. Mi affrettai a scusarmi per la mia brutalità, adducendo il motivo che pensavo molto spesso alla morte.
Allora lei risollevo` lo sguardo dritto attraverso le lenti degli occhiali.
‑ Non occorre scusarsi, ‑ disse ‑ penso solo che dovresti essere pronta a ricominciare daccapo.
Sembrava coinvolta nelle mie sciagure.
‑ Non m'importa, ormai non ho più energie e anche se ne avessi non saprei proprio più cosa farmene!
‑ Eppure io credo che tu abbia ancora molte risorse, Giulia! Ma penso anche che tutta l'energia conservata dentro di noi a volte sia troppo grande per sostenere la quotidianità!
Incomincio` a crescermi dentro un'autentica angoscia... Ma lei proseguì.
- E tu hai molte energie, anzi troppe. Forse è per questo che ti stanno accadendo quegli strani fenomeni.
Cosi` lei sapeva. Avrei potuto chiederle tutto cio` che desideravo sapere, ma se fosse stato un malinteso?
‑ Sai Giulia, una volta mi riusciva benissimo di figurarmi come la vita fosse una continua manifestazione di Dio. Sai, Dio ha differenti nomi: per autorizzarne l'uso bisognerebbe ricorrere alla teologia mistica di San Dionigi o a piu` rari ed oscuri manoscritti di altre religioni non cattoliche. Se tu...
La interruppi bruscamente dicendole che non avrei sopportato oltre le sue assurde divagazioni su Dio, numeri e pentacoli. Ma lei sembro` non mostrare rancore per la mia aggressione verbale e mi prego` sorridendo di ascoltarla.
‑ Voglio dirti, Giulia, che non e` necessario partire da Dio o da qualcosa di soprannaturale. Ogni Dio ha il suo alter ego che lo annulla, proprio come se ci trovassimo in un campo di battaglia alla fine di un combattimento dove tutti sono morti. In quel pentacolo che ti ho regalato c'è scritto : "Quis ut Deus?". Una domanda legittima, quella di chiedersi chi può essere simile a Dio, non trovi?
Mi pareva d'impazzire. Quella donna era sedotta da feticci perversi, prodotti da menti morbose. Menti che, autoconvincendosi di avere dentro una qualche potenza irresistibile, coltivavano, a loro volta,insane opere di seduzione nei confronti di uomini sprovveduti. .Notando la mia irritazione silenziosa proseguì a voce più bassa, ma inesorabilmente.
- E allora, chi e` simile a Dio se non Satana? E non sono forse due diverse facce della stessa medaglia?
Ero sempre piu` irritata. Piu` sono cattolici , pensai, e piu` ritengono di avere soltanto loro il privilegio di poter dissertare su Dio Satana e il mondo, come se detenessero il segreto della storia.Ma lei si precipitò ‑ come leggendomi nel pensiero ‑ a dirmi che non era affatto cattolica e che non lo sarebbe mai sta ta. Poi, con una strana luce negli occhi , mi chiese se ero riuscita a decifrare la cantilena creola. La cosa mi gettò nel panico e ci fu una lunga pausa, prima di riprendere il dialogo. Le chiesi come aveva saputo. Mi rispose che gliene aveva parlato Denise.
‑ Non e` possibile! ‑ esplosi con tutto lo stupore di cui ero capace.
‑ Denise, vieni qui, cara! ‑ Erzulie la chiamo` con un tono gentile ma imperioso.
Denise si precipito` correndo con in mano un biscotto. Erzulie le chiese di recitare il ritornello che sapeva e lei lo fece ridendo e inciampando ogni tanto su qualche parola.
‑ Ora ‑ disse Erzulie con aria compiaciuta ‑ Denise lo traduce in italiano, vero?
E Denise incomincio`senza batter ciglio:"Ezili KaliKae / o che Loa severo / Ezili tu chiedi un maiale / ed io te lo daro` / Ezili tu chiedi un capretto a due piedi / dove potro` prenderlo per offrirtelo?". Allibita , chiesi ad Erzulie come mai Denise ne fosse a conoscenza e che animale fosse un capretto a due piedi.
Ma non ebbi risposta ne` dall'una ne` dall'altra, perche` mi svegliai, sorpresa del fatto che mi fossi addormentata. Denise era seduta accanto al mio letto mi diceva che aveva fame. E anch’io. Nei giorni immediatamente dopo l'accaduto caddi in uno stato di forte prostrazione.La sensazione di avere il cervello torbido insieme alla coscienza della presenza di qualcuno che rassettasse la camera senza rumori indiscreti e regolasse, a suo talento, il riscaldamento. Avevo fredo e la febbre alta. Sentivo la voce fievolissima di Erzulie che mi curava intimandomi di non muovermi dal letto. Con un indescrivibile sforzo, mi costrinsi a volgere lo sguardo dalla sua parte. E vidi la sua faccia, pallida e confusa, sotto un paio di lenti cerchiate d'oro. Non sembrava piu` lei, pareva in procinto di allontanarsi non solo da me, ma da tutto. Ancora un attimo e ogni cosa avrebbe perduto il suo senso.
E infatti, d'un tratto , mi trovai catapultata in una stanza dominata da un enorme tavolo di marmo su cui era ammucchiato un numero imprecisato di bottiglie. Verso il fondo, in un angolo, Denise teneva in mano due piccioni e sedeva alla destra di un uomo molto alto e scuro di carnagione che, in un lamento lugubre e sommesso, sussurrava qualcosa in una lingua a me sconosciuta. Attorno a mia figlia piano piano incomincio` a formarsi un cerchio di persone, ognuna con il suo mortaio in cui batteva, con colpi ritmati, i pestelli che venivano probabilmente usati per triturare chissa` quali sostanze. L'illuminazione era scarsa, ma non avevo paura, temevo solo per Denise. Col tramonto del sole ci si immerse in un religioso silenzio ed alla bambina furono lavati piedi e gambe. Le tolsero i piccioni di mano e li deposero in un recipiente dove li annegarono ritualmente, quasi con dolcezza. Il recipiente fu chiuso con un coperchio e quindi consegnato a Denise affinche` lo appendesse ad un albero che si trovava in mezzo ad un'altra grande stanza. Denise non protesto` e fece quanto le era stato chiesto. L'albero era carico di oggetti appesi ai suoi rami: bottiglie, barattoli e perfino sedie quasi a grandezza naturale. Mia figlia fu poi accompagnata in un giardino semispoglio dietro la casa dove fu lasciata proseguire da sola. Io mi misi a gridare a voce altissima nel tentativo di fermarla, , ma nessuno mi sentiva, neanche lei. Si fermo` solo quando riuscii a centrarla la sua gamba sinistra con un sassolino. Tornò indietro di qualche passo e mi prese per mano dicendomi che doveva andare dalla "croix". Ne compresi il significato solo quando, verso l'estremo margine del giardino, delimitato da qualche paletto di legno, vidi delle tombe sopra le quali s'intuivano dei crocifissi piantati capovolti. Denise si fermo` improvvisamente e m'indico` l'unica croce non capovolta mormorando a bassa voce: " Regarde, maman, Veve` di Guede`, maman!". La croce non era affatto una croce cristiana. Se ne intuiva il simbolo, probabilmente utilizzato in alcune ritualita` funerarie.
***
Mentre Denise si avvicinava alla croce con passo svelto e per nulla impaurita, mi trovai dietro le spalle Erzulie che, lisciandomi dolcemente il polso, tentava di trattenermi. Mi diceva che Denise stava andando verso la morte, ma che dovevo lasciarla andare, che Veve` di Guede` la stava chiamando. Le chiesi chi fosse Veve` di Guede`, ma non ebbi alcuna risposta.
Svegliandomi e fuggendo via così da quel sogno orribile, intuii d'un tratto come fosse impossibile definire quella donna. Io e Denise la nominavamo molto frequentemente nei nostri discorsi, ma sembrava in realta` staccata dalle circostanze, dai luoghi e dagli oggetti. Perfino dal cibo: sembrava non si alimentasse mai.
Eppure era divenuta ormai il mio specchio. Non appena incominciavo a parlare davanti a quello specchio, a gettare la` dentro me stessa, o ad allontanarmene a piccoli passi per poi tornargli incontro, sentivo di potermi afferrare, di riconoscermi per quello che ero. Tuttavia non rinunciavo a tentare di carpire in lei un po' di quotidiano, tanto che la pregavo ogni tanto di farmi entrare in casa sua. Ma non avevo successo, lei prometteva e invece poi, sul punto di farmi vedere dove viveva, mi respingeva con delle debolissime motivazioni:" Oggi è nel totale disordine, mi vergognerei!" Mi mostravo seccata, ma lei già pensava ad escogitare qualcosa di meglio per la volta successiva in cui le avrei chiesto la stessa cosa.
Di se stessa non raccontava mai nulla. Strano. Dopo quel sogno mi mostrai più fredda e lei se ne accorse. Così non lasciò passare un paio di giorni e mi disse che dovevamo parlare. Io, che non ho mai amato i rapporti morbosi, le risposi che non avevo tempo. Fu quella frase " Le cose stanno volgendo al male!", che mi fece decidere a darle colloquio.
‑ Tutti noi andiamo avanti a tastoni nel mondo, ‑ esordi` lasciandomi intuire dal tono di voce che capiva la mia insofferenza ‑ ma un giorno o l'altro dobbiamo pur conquistare la posizione eretta!
‑ Smettila di parlare con i tuoi soliti enigmi! ‑ la incalzai ferocemente .
‑ Giulia, ti ricordi quando mi chiedesti del capretto a due teste?
Mi scrollai immediatamente dallo stato di abulìa.
‑ Era un sogno, tu non puoi sapere!
‑ Se vuoi, posso chiarirti ogni cosa.
Non volevo supporre nulla di ripugnante, sicche` acconsentii a procedere.
‑ Il capretto a due piedi allude ad un sacrificio umano e conferma la fama di divoratori di uomini di cui spesso sono accusati i Loa Petro. La sacerdotessa di colore che tu hai visto nell'atto di sgozzare un maiale, non faceva altro che rendere onore ai Loa.
Ora procedevo a tentono.
‑ Vuoi dire che per questi riti satanici vengono ammazzati appositamente degli esseri umani?
‑ Sacrificati.
Inorridii. Lei continuò sommessa.
‑ Ma tutto cio` avviene, io credo, perche` nello spirito di queste religioni non vi e` una netta distinzione fra male e bene , come in quella cristiana. L'offerta rituale e` un mezzo per sciogliere un incantesimo o per fare un maleficio. Indifferentemente.
E mi guardò dritta negli occhi.
‑ Ma chi sarebbe l'acquirente?
‑ Non ha importanza, Giulia. Sacerdote, mago, sungan o semplice uomo. Agisce secondo la morale del Pantheon Vaudou, dove il concetto di bene o male non esiste. O forse e` superato. O forse segue una legge morale che ci sfugge!
‑ Ma che morale! Anche loro, come tutti i credenti, hanno comunque l'esigenza di mettere distanza fra cielo e terra! Ma quando la smetteranno con questa ostinata voglia di separare Dio dagli uomini!
‑ Ma non tutti la pensano così! Quello spazio metafisico che l'africano o l'europeo pone fra se` e il suo Dio e` intoccabile, non puoi toglierglielo! Così come non potrai mai dividere Denise dal concetto magico e religioso del sortilegio. Anzi, ti consiglio di non provarci mai. E' la sua cultura, le sue radici... Mi sentii raggelare. Non riuscivo a figurarmi come una bimba di cinque anni potesse racchiudere in se` il peso di tanta storia e di tanto tormento. Pensa ‑ dissi a Erzulie ‑ che da sola non ci sarei mai arrivata. Ho girato in tondo per due anni su qualcosa che non capivo.
‑ E di colpo ‑ m'interruppe ridendo con una risata esplosiva, irritante ‑ ti sei trovata in mezzo ad uno spiazzo, non e`vero?
‑ Che c'e` da ridere?
‑ Rido perche` non e` Denise l'origine delle tue orribili esperienze. Ma proprio tu.
‑ E i giacinti? Le conchiglie, gli insetti morti, le croci capovolte?
Ero al colmo della disperazione. Così Erzulie incominciò pazientemente ad inoltrarsi in una spiegazione complicatissima di cui continuavo a non capire la sorgente.
‑ Ti voglio raccontare una favola che ti puo` in parte aprire la mente, vuoi?
Ormai ero sotto la sua protezione.
‑ Agli albori dell'umanita` un cacciatore africano di nome Gbito Aya era, secondo la leggenda vaudou, considerato impareggiabile nell'uso dell'arco e della freccia. Gli animali della foresta,allora graziati dal dono della parola, lo temevano moltissimo. Un giorno Gbito, inseguendo la selvaggina, fu sollevato da una potente folata di vento che lo depose fra la folta chioma di un enorme albero. Accovacciato fra i rami, si trovo` ad ammirare stupito i balli, i canti e le musiche di una varieta` incredibile di quadrupedi che , accorgendosi della sua presenza, incominciarono presto ad agonizzare e poi morire. Alcuni giorni dopo, il cacciatore, ritornato nella foresta, scorse una figura che desto` in lui un sentimento fino a quel momento sconosciuto: la paura. La figura era Aziza, il genio della foresta. E Gbito, che era stato prescelto dal genio per essere messo al corrente di arcani segreti, si vide consegnata una palla nera dalle misteriose facolta` magiche. Ma affinche` non venisse svelato questo segreto agli iniziati, prima di svanire nel nulla, il genio della foresta pretese dal cacciatore il silenzio. E a suggello di questo patto, dopo aver inciso la mano del cacciatore fra il pollice e l'indice, ne succhio` il sangue, esigendo da Gbito la stessa cosa. Questo "primo patto di sangue", fu formalizzato realmente per la prima volta il 22 Agosto del 1791.
Avvertii in me una tremenda stanchezza. Non capivo come avessi fatto a giungere fin li`, come non avessi avuto paura. Buttai lì senza riflettere che quella storia avrebbe potuto essere la storia dell'uomo, per esempio l'innalzarsi della natura animale fino alla conquista della posizione eretta, quella umana. Ma avevo soprattutto avevo paura ed Erzulie lo sapeva.
‑ Chissà Aziza si accorse che fra tutti gli animali della foresta Gbito era l'unico in grado di comprendere il linguaggio della natura e così lo prescelse per l'iniziazione!
‑ Come tu hai scelto me?
‑ Non so. Chissà.
Il dialogare in solitudine con una simile compagna mi dava coraggio. Tollerava perfino la mia reticenza davanti al fantastico, purchè dimostrassi di non aver paura della verità.
Dopo la fiaba di Aziza mi pregò di aprire la mano destra ed io eseguii l'ordine.Mi chiese di appoggiarla sul tavolo, distendendo bene tutte le dita. E lo feci. Mi guardò soddisfatta e con un gesto brusco mi fece volgere il palmo della mano destra, ben tesa com'era, verso di me.
Fu allora che lo vidi. Era un taglio netto e ancora sanguinante. Sembrava che qualcuno avesse inciso la mia mano fra il pollice e l'indice, esattamente come nella leggenda di Aziza.
‑ Non vi e` nessuna cosa al mondo che , con la sola potenza della fantasia, si possa raffigurare perfetta. E tu, invece, pretendi perfezione e razionalita` da tutte le cose, mia cara Giulia!
E nel momento in cui pronunciò queste parole sembrò, ai miei occhi, una creatura effimera. Un volto d'altri tempi, dietro il quale l'universo o quello che io pensavo tale, si condensava e diventava leggerissimo. Veniva lambendo, lievissima, la mia certezza in uno scenario universale compatto. Cosi` tutto si disgregava in mille, milioni, miliardi di verita` o supposizioni.
‑ L'hai fatto tu quel patto di sangue, non tua figlia, Giulia.
Annuii meccanicamente
- Bambara! ‑ mi sussurro` prima di volare via.
‑ Bambara?
Stava sparendo dietro la porta.
‑ Legame. Legame religioso. Indissolubile!
***
A ripensarci, dottor Krupp, mi sembra tuttora inspiegabile come quella luminosa domenica d'ottobre potessi io avere l'impulso cosi` irrefrenabile di andare a rovistare nel posto dove fiorivano i giacinti.Denise era sparita da parecchi giorni ed io non avevo avuto la forza di cercarla. La sua assenza non mi disturbava. Anzi. Da quando se n'era andata, non mi capitava piu` di svegliarmi nel cuore della notte in preda all'ansia. Fin dall'inizio, nonostante l'affetto, avevo avvertito come un soffio di vento permanente sul suo viso che prima o poi me l'avrebbe portata via, chissa` dove. Forse era destino, non ci saremmo mai comprese.
Erzulie si era ritirata nella sua casa e da alcuni giorni non usciva nemmeno per dare un'occhiata al giardino. Ma non ne soffrivo. Avevo bisogno di stare sola e di non discutere. Del resto Erzulie pareva davvero una creatura d'altri tempi. Avrebbe potuto prima o poi ritornare nel suo secolo e non me ne sarei meravigliata. Come di chi passa di li` per caso, si trattiene per sbrigare alcune faccende e poi parte per altri luoghi.
D’un tratto mi sentii liquidata e libera. Perfino la morte di mio marito, quella mattina, mi faceva pensare ad un'eclisse avvenuta decine di anni fa.
Eppure quella scena mi fece ripiombare nel baratro.
Quando la vidi li`, mezza sepolta e rovesciata, mi torno` alla mente la scena del cimitero con le croci capovolte conficcate malamente nel terreno. Non mi ricordavo dove avessi visto quella scena, ma ero sicurissima di esserne rimasta colpita. Si trattava di una bottiglia ripiena di un liquido non molto denso ma indecifrabile alla sola vista. Solo quando lo estrassi e ne tolsi il tappo quasi marcito, mi resi conto che l'intruglio era addirittura commestibile: sale, aceto e pepe. Coprii il buco come fanno gli animali con i propri escrementi, quasi con pudore, e portai la bottiglia in casa con l'intenzione di analizzarla con piu` attenzione.
Mentre rientravo, pensando che solo Denise avrebbe potuto fare una cosa del genere, fui attratta da un foglietto probabilmente appoggiato da qualcuno sul tavolo della sala, durante la mia ispezione in giardino. Sotto il messaggio molto secco di Erzulie che mi ordinava di leggerlo, c'era un libercolo piuttosto consumato con un segnalibro che stava lì ad indicare un capitolo dal titolo "Il cuore trafitto di Ezili". La pagina iniziava con la solita cantilena creola sul capretto a due piedi. Ma fu soprattutto il nome di Ezili Kalika, dea onorata con tale rito, che attrasse la mia attenzione piu` di ogni altra cosa. E, guardando nella nota in fondo pagina , non fu difficile capire l'inganno. Ezili Kalika era Erzulie Freda Dahomey, il cui "veve`" o simbolo e` rappresentato da un cuore trafitto. Suggestiva analogia, considerato che Erzulie ‑ come spiegavano bene le pagine successive ‑ era la figura del Loa dell'amore; figura, peraltro, non facile da individuare per via della sua doppia personalita`. La stessa iconografia ne metteva in risalto la doppiezza: madre fertile e sacrale nell'accezione positiva; e, viceversa, donna ambigua e bellissima in quella piu` negativa. A spiegazione di questa seconda accezione si narrava di lei come divinita` acquatica, capace di trarre in inganno gli uomini fino a farli morire, assumendo diverse forme, dal fiore al suono, alla sirena.
Pensai immediatamente al sogno del giacinto d'acqua e dell'annegamento nel gorgo del fiume.
Com'era stato possibile tutto questo? Chi era Erzulie: una vergine cristiana o un'Afrodite greca? Ne` potevo credere a trasformazioni metafisiche dei fenomeni e delle forze della natura. Forse era solo la pulsione dell'uomo verso il sovrannaturale , quella che metabolizzava divinita`, patti di sangue e pentacoli.
Mi sedetti con la bottiglia in mano in attesa che qualcosa accadesse.
***
Una cosa soltanto era rimasta a testimoniare l'accaduto del giorno prima: un lieve dolore alla testa. Mi pareva di essere un'ombra d'acqua. Erzulie si ergeva confusa e immobile vicino al mio letto ed io mi sentivo davvero priva di qualsiasi energia, come alla fine di un estenuante tragitto. Poi mi accorsi delle lacrime sul viso di Erzulie e intuii che avrebbe dovuto andarsene via per sempre. Cercai di dirle sottovoce un "Lo sapevo, l'avevo indovinato", ma non mi usciva piu` alcun suono.
Ancora qualche attimo e avrei comunicato solo con il movimento delle labbra.Non avevo più voglia di ascoltare nessuno, ma lei pareva avesse voglia di parlarmi ancora. Non potevo interromperla, sentivo che non avrei piu` avuto la forza per interrompere nessuno.
Ci fu una lunga pausa.
‑ Davvero non ti ricordi?
Ricordavo vagamente di avere perduto Denise ad un certo punto del tragitto.
‑ Tua figlia non poteva piu` vivere con te, Giulia.
- Denise stava benissimo con me. Io sopportavo perfino le sue stramberie.
‑ Le sue stramberie erano solo una proiezione della tua fantasia.
Erzulie sembrò leggermi nel pensiero, Ed io, in realtà, non muovevo neppure piu` le labbra.
‑ In realtà, Giulia, Denise se l'e` portata via l'assistente sociale. Un giorno hai perfino tentato di ucciderla non ricordi? Guarda, ti sei perfino fatta un taglio nella mano, fra il pollice e l'indice mentre cercavi di ferirla con una bottiglia mezza rotta! E lei, povera bambina, continuava ad avere quelle febbri nervose, aveva paura di te, Giulia!
Impossibile, quello era stato un patto di sangue. Negai, dissi che era lei che mi voleva uccidere.
‑ Ma ti sembra possibile, Giulia , che una bambina di cinque anni possa essere stata capace di tutto questo?
Sì, se fosse stato il veicolo di qualcuno, magari della stessa Erzulie.
‑ Giulia, io ti sono servita semplicemente da alibi.
Ma allora tutti i discorsi che avevamo fatto insieme, tutte le sue divagazioni su Dio e la conoscenza del mondo? Erzulie era la mia migliore amica, le volevo bene, come poteva essere solo un alibi?
‑ Come si puo` voler bene ‑ fece eco lei ‑ ad uno spettro, in uno stato di nevrosi ossessiva!
Nevrosi ossessiva. Mi ero inventata forse tutto?
- E Aziza, Gbito, la sacerdotessa di colore? E il capretto a due piedi, il sacrificio umano destinato al Loa dell'amore Erzulie da parte di Denise? Tutti personaggi fantastici? Come avrei potuto.
- La mia voce, un grido.
- Eri un'antropologa, Giulia. Hai vissuto a lungo a Coutonou e ad Haiti per le tue ricerche sulla religione vaudou, non ricordi? Li` hai conosciuto e sposato tuo marito e deciso con lui che avreste adottato una bimba di colore. Tu non potevi avere figli.
Vagamente ricordavo la morte di mio marito e com'era avvenuta.
‑ Quando mori` tuo marito uscisti di senno. Vivevi di feticci che nascondevi giornalmente in giardino, nell'aiuola dei gladioli. Di Denise a un certo punto non ti curasti piu`, non le davi piu` nemmeno da mangiare. Poi cadesti in uno stato di amnesia. Per questo ora ti trovi qui.
Ma allora dove mi trovavo? Improvvisamente mi sentii padrona del suono della mia voce e chiamai urlando Erzulie. Ma lei non c'era piu`, era volata via e probabilmente non sarebbe piu` tornata.
Quando aprii gli occhi vidi attorno al mio letto tre uomini in camice bianco. Uno di loro era seduto proprio accanto a me e mi guardava intensamente.
- Dottor Krupp, Giulia, piacere.
Poi si rivolse ai due dottori in piedi con un leggero accento straniero.
- La terapia con l'ipnosi ha funzionato.
Ero esausta, ma ebbe lo stesso il coraggio di chiedermi se mi ricordavo finalmente chi fossi. Feci cenno di sì.
‑ Sono tecniche ormai in disuso queste, eppure danni dei risultati apprezzabili.
L'esplicitazione della sua soddisfazione era chiaramente diretta ai due medici che affermavano di volermi curare con l'ipno‑analisi.
‑ Tanto va ‑ disse uno dei due in piedi ‑ in una trance profonda, senza problemi.
Ma Krupp parve insofferente all'irruenza dei due e li spedì fuori dalla camera con la scusa che io dovevo riposare.
Sicuramente le loro cure mi fecero bene. L’equipe di Krupp e Chertok diedero buoni risultati. Ma non riuscii piu` ad entrare in quello stato immoto di grande lucidità o di grande sonno. Le profondita` delle trances erano soggette a diverse fluttuazioni, anche durante una stessa seduta. E mano a mano che associavo sempre piu` spontaneamente gli avvenimenti, le trances diventavano via via sempre piu` leggere. Certe volte ritornavo progressivamente allo stato di veglia continuando a produrre sensazioni che restavano segnate dalla trance.
E comunque ero tornata ad essere Giulia. Un'antropologa milanese in pensione, vedova e segnata da una brutta esperienza di isteria.
***
Il ritorno a casa fu meno drammatico di quanto mi aspettassi. E l'affetto di mia sorella, rinverdito e messo alla prova duramente da questo avvenimento, mi fu di grande aiuto. Era quasi tutto a posto, se solo lo avessi voluto. L'analista un paio di volte alla settimana, un'agenzia matrimoniale per tentare qualche incontro e la ripresa del lavoro da antropologa. Avevo solo 44 anni, Dottor Krupp.
Spesso pensavo a Denise. Avrei voluto rintracciarla, spiegarle tutto. Invece nessuno me l'avrebbe piu` fatta vedere, lo sapevo. Ma l'assenza piu` fonda era legata a Erzulie, il bizzarro personaggio fantastico creato dalla mia incredibile immaginazione. La sua inesistenza rendeva la mia vita senza possibilita` di scampo. Erzulie era uno splendido filtro tra me e la realta`, non avrei mai potuto separarmene definitivamente. Se non ci fosse stata lei, probabilmente mi sarei data subito la morte. Mi chiedevo se l'analista, con il quale parlavo spesso di lei, mi avrebbe comunicato prima o poi di chi veramente si trattasse. Chi era, perchè cosi` reale, perche` mi aveva abbandonata. Non osavo nemmeno guardare il giardino adiacente al mio e che avevo pensato suo. Vedevo la casa abitata, la notte con le luci accese e il giorno con il rumore dei piatti. Provavo a delineare il volto di chi quotidianamente si aggirava per quei "muri" che, a sentire mia sorella, erano rimasti disabitati per molti anni. Ma non ci riuscivo. Tutto era sovrastato dal viso gigantesco di Erzulie, non potevo immaginare nessun altro che avesse potuto entrare ed uscire di li`.
Quando ero colta da crisi di angoscia l'unico sollievo pareva il giardinaggio.
Assolato di mattina e all'ombra di pomeriggio, in quel giardino cresceva qualsiasi cosa io seminassi, come per uno strano beneficio. Partita mia sorella, me ne occupai a tempo pieno. Lasciai intoccata solo l'aiuola dove erano stati piantati i gladioli.
Un giorno di fine primavera, mentre travasavo in un recipiente grosso di terracotta delle piantine di basilico, conobbi il mio anziano vicino di casa. Il primo incontro fu superficiale, ma mi colpì perchè, solo in quel momento, mi colsi ad ammettere naturale la presenza di un'altra persona, in quella casa, che non fosse Erzulie.
Le crisi di angoscia piano piano si diradarono e decisi così di prendermi carico dell'aiuola. Quando iniziai a provare di togliere le sterpaglie, ero consapevole di quello che avrei potuto trovare. Qualcuno mi aveva avvertita che usavo seppellire li` oggetti di vario genere. Ero preparata, pronta ad accettare di me anche quella brutta faccia. Cosi` trovai un mucchio di chiodi lunghissimi, gli stessi che, nel mio delirio, avevo visti sputare dalla bocca di Denise. Li avevo racchiusi in un fagottino di stoffa dal colore non piu` indovinabile e deposti in una buchetta lunga circa dieci centimetri. Chissà, pensai, dove ero riuscita a trovare dei chiodi così lunghi. Dissotterrai il fagottino, mossi la terra senza tappare il buco e buttai tutto nel bidone della spazzatura. Ma l’angoscia di nuovo mi assalì. La consapevolezza di poter rientrare in quella insana girandola, senza poterne piu` uscire.
Una mattina di sole, dopo le giornate d'angoscia vissute a causa di quel ritrovamento, uscendo in giardino, rividi, dall'altra parte del muretto, il mio vicino di casa. Mi avvicinai pensando che una chiacchierata con qualcuno non mi avrebbe fatto male. Stava radendo tranquillamente il prato con un tagliaerba rumorosissimo e probabilmente non si era accorto di me. Lo sorpresi sorridendo e facendo appello al mio tono di voce piu` allegro per chiedergli se aveva bisogno di aiuto. Si guardo` intorno come se non riuscisse a capire da dove provenisse quella voce. Poi spense il tagliaerba e, trovandomi finalmente con lo sguardo, mi chiese di riformulargli la domanda. Ma a quel punto il ghiaccio si era rotto e non gliela ripetetti. Preferii chiedergli se gli piaceva il giardinaggio, se lo trovava molto faticoso. Era vecchio e aveva gli occhi buoni. Mi sentii, per un attimo, confortata. Mi rispose che aveva trovato il giardino in condizioni pietose e che se non toglieva prima tutte le erbacce non avrebbe potuto piantarci nemmeno un fiore. " Altro che giardinaggio!‑ disse ridendo un po' sudato.
Cosi` la domanda mi venne fuori di getto, a freddo.
- Ha mai conosciuto la persona che viveva qui prima di lei?
Si asciugo` la fronte con un fazzoletto enorme che tiro` fuori dalla tasca dei pantaloni.
‑ Lei no? E` andata via nemmeno un anno fa!
La curiosita` venne meno repentinamente. E non vi fu in me che il terrore. Risposi alla sua domanda facendogli cenno di no.
‑ Era una donnetta di mezza eta`, con gli occhi chiari e gli occhiali , dall'aspetto energico, pero`!
E sorrise come se gli fosse venuto in mente qualcosa di buffo. E aggiunse:" Pensi che, oltre a lasciarmi in eredita` un'aiuola a sette lati perfettamente coltivata, mi ha regalato la riproduzione in rame di uno strano medaglione con una scritta in latino "Quis ut Deus?". Guardò il cielo.
- Unica, quella donna!".
Feci indescrivibili sforzi per non correre subito a cercare quel medaglione che aveva regalato anche a me. Non c'erano parole atte ad esprimere e a spiegare l'accaduto. Riviverla, un'altra volta, quella realta` che mi aveva condotta alla follia, non era piu` possibile. Non mi sentivo piu` in forze per affrontare tanta confusione. Mi congedai da lui frettolosamente.
Erzulie era esistita, ormai era chiaro.
Cercai per giorni e finalmente trovai il pentacolo nell'aiuola dei gladioli. Poi caddi in uno stato di prostrazione totale. Mi resi conto che avrei dovuto vivere in un mondo in cui sarebbe stato difficile distinguere la realtà dall’immaginazione.
Il suicidio, Krupp, venne qualche tempo dopo, quando mia sorella, tornata per darmi un po' di conforto, mi ribadi` senz'ombra di dubbio, che non esisteva alcun vicino di casa. Che la casa era disabitata da almeno quattro anni.
Nicoletta Poli, ricercatrice IRS (http://www.irs-online.it/), filosofa, scrittrice e poetessa. http://psicofilosofia.jimdo.com/