In altre parole io potrei conoscere, attraverso la trasmissione orale, un accadimento avvenuto nel 1296. Se anziché dieci persone, ne consideriamo venti (mica saranno molte) la cosa fa ancora più impressione: 60 + 76 * 18 + 46 = 1474 anni.
Vincenzo Rezzuti
In altre parole io potrei conoscere, attraverso la trasmissione orale, un accadimento avvenuto nel 1296. Se anziché dieci persone, ne consideriamo venti (mica saranno molte) la cosa fa ancora più impressione: 60 + 76 * 18 + 46 = 1474 anni.
Pensierini della buona notte 27
Il tempo pseudo-ciclico è quello del consumo della sopravvivenza economica moderna, la sopravvivenza aumentata, in cui il vissuto quotidiano rimane privato di decisione e sottomesso, non più all’ordine naturale, ma alla pseudo-natura sviluppata nel lavoro alienato; e questo tempo ritrova dunque del tutto naturalmente il vecchio ritmo ciclico che regolava la sopravvivenza delle società preindustriali. Il tempo presudo-ciclico fa leva sulle tracce naturali del tempo ciclico, e nello stesso tempo ne compone nuove combinazioni analoghe: il giorno e la notte, il lavoro e il riposo settimanali, il ritorno dei periodi di vacanza. (Guy Debord, La società dello spettacolo, traduzione Paolo Salvadori)
Il tragitto dell’esistenza umana non ha l’aspetto di una linea retta, ma di una spirale in cui ogni giro ripete il precedente, ma sempre più avanti, verso il divenire e la fine del divenire stesso. Abbiamo imparato la ciclicità del tempo assai presto, quando, ben prima di andare a scuola, ci hanno insegnato il meccanismo dei compleanni e del Natale e spiegato il mistero delle stagioni che cambiano. Ma ogni ciclo era diverso dall’altro, ogni anno aggiungeva un’unità al percorso, ed è forse questa l’origine di ogni angoscia.
I due movimenti combinati del tempo, il movimento ciclico e quello lineare, sono l’archetipo ancestrale delle posizioni politiche. Il movimento ciclico rappresenta la conservazione, il movimento
lineare è invece il progresso. Da un lato il desiderio che mai nulla cambi e che si azzeri l’avanzamento, dall’altra la proiezione prometeica verso la linearità e l’insofferenza verso la
ciclicità che frena lo slancio. Erroneamente identificate rispettivamente con la destra e la sinistra, che sono in realtà definizioni politiche prive di contenuto, la posizione del progresso è
sostenuta da chi vuole cambiare una realtà che non accetta, quella della tradizione da chi crede di vivere già nel migliore dei mondi possibili.
Nel mito arcadico di un tempo statico, perché privo di progressione, dove tutti sono felici e in armonia con la ciclicità della natura stessa, sta l’inganno e insieme una probabile verità.
L’inganno è testimoniato dalla storia: l’abbandono della vita agreste, forse dovuto all’infelicità e all’angoscia causata dall’inevitabile linearità del tempo, che pur su se stesso si avvita in
avanti. La verità è nella riproduzione della ciclicità in forme diverse per ricostruire la felicità perduta.
Il prezzo della paura
“Vivere è sopravvivere a sé eternamente rimasticando il proprio io d’escremento, senza nessuna paura della propria anima fecale, forza affamante di seppellimento. Perché l’intera umanità vuole vivere, ma non ne vuole pagare il prezzo, e questo prezzo è il prezzo della paura. Per essere si deve vincere una paura e questo consiste nell’asportare la paura, l’intero cofano sessuale della tenebra della paura, dentro di sé, come corpo integrale dell’anima, tutta l’anima fin dall’infinito, senza ricorrere a nessun dio dietro di sé. E senza dimenticare niente di sé.” (Antonin Artaud, Lettere da Rodez)
La malinconia del nostro tempo è fatta di canzoni e immagini che tornano, come reperti archeologici di un museo impalpabile, trasmesse dalle mille televisioni digitali. Anche su Internet vi sono siti dedicati al nostro passato, come il bellissimo “Pagine 70”. Un passato fatto prevalentemente di trasmissioni televisive, perché questo è stato. La televisione è solo uno dei mezzi che hanno sostituito la nostra vita, o per meglio dire che l’hanno riempita di un finto pathos. Il resto è prevalentemente sofferenza, il resto è la nostra vita vera, dalla quale si è fuggiti per viltà. Vivere è soffrire, ma il nostro tempo è la storia di un’evasione che dura dalla fine della seconda guerra mondiale, da quando al fragore delle armi si è sostituito il conforto delle colonne sonore. La pace del mondo occidentale è una sceneggiatura infinita, costituita dalle mille storie inventate che abbiamo vissuto attraverso la televisione e il cinema. Quando abbiamo visto con i nostri occhi la realtà, l’abbiamo paragonata alla finzione, e abbiamo deciso che era meno piacevole. Ora è in atto una trasformazione su cui dovremmo riflettere. Se la nostra giovinezza è trascorsa tra sogni e vicende che non ci appartenevano, ora viviamo interattivamente una vita più nostra, ma non meno finta. Il contatto telematico fa conoscere persone che non si vedono mai in faccia, se non in foto. Si discorre di tutto senza mai essere a portata di mano. Così la realtà è racchiusa in un bozzolo, vissuta il minimo indispensabile, sospesa continuamente da ciò che potrebbe essere ed è solo in immagine.
Antonin Artaud, prima di morire, parlava di affatturamento generale. La malattia del mondo occidentale è la lontananza dalla vita vera, dovuta al dominio della paura. La nostra malinconia per ciò che è stato è il rimpianto di ciò che non è stato. Così la maggior parte delle persone ha ancora un piede nella propria infanzia e si sorprende di non potere più sperare in una vita sognata e irrealizzabile. Chi ha cercato di vivere, magari per brevi periodi, una vita vera in cui tutto l’esistente era messo in discussione, nella scelta di una libertà assoluta che poteva fare di ognuno il creatore del proprio destino, si è certo accorto di essere considerato una specie di terrorista. Metteva in gioco non solo la propria vita, infatti, ma, inevitabilmente, anche quella di altre persone della cui vita faceva parte. Nel ritorno alla norma l’esito è inevitabile: uno schermo acceso che trasmette le immagini della vita passata – confortante e gravido di malinconie.
La bestia nella giungla
Come sono ingannevoli i sogni. Non quelli della notte, che muoiono al mattino lasciando appena, e solo a volte, una vaga delusione, ma quelli coltivati per anni, nella certezza giovanile che, quelli sì, un giorno sarebbero diventati realtà. Li si sente così forti, e ci fanno sentire padroni del mondo e di tutte le possibilità. Poi un giorno si scopre che non c’è più tempo per realizzarli. In questo racconto di James il tema dell’autoinganno è trattato con tragica leggerezza, anticipando in poche pagine la cattedrale proustiana. In James come in Proust, l’assassino della speranza è il Tempo, che però non ha colpa alcuna. Esso appare come una legge di natura, che l’essere umano ha il torto di occultare per convenienza immediata. La realtà immersa nel Tempo sfugge alla vita dei sognatori, diventando così un’occasione perduta. L’amore concreto di una donna si consuma fino alla morte, mentre il sognatore immagina un’altra vita. Non è un caso che il protagonista sia un uomo, perché è proprio del carattere maschile, da sempre, astrarsi dalla realtà e perseguire un obiettivo irrealizzabile. E quando poi, e non è il caso di questo racconto, l’impossibile accade, appare stupido, futile, e si rimpiange il sogno, la sua ingenuità e purezza.
Vincenzo Rezzuti, novarese di nascita e bolognese di adozione, fa della scelta dell’eclettismo culturale una filosofia di vita. Informatico e project manager per mestiere, giocatore di scacchi, scrittore e poeta, pensa che per contrastare l’orbo pensiero specialistico occorra occuparsi di tutto, senza avere paura del proprio dilettantismo. Per SeBook ha recentemente pubblicato il romanzo “Gli errori di un samurai”. Altre sue opere sono un volume di racconti, “Chi parla troppo”, e due raccolte poetiche, “Poesie del re sottile” e “Del corpo, per il corpo”. In rete è presente con alcune opere web e con un blog filosofico – letterario (http://pensierinidellabuonanotte.wordpress.com).