Nicoletta Poli
La bellezza di una donna
“Signore, prendi il mio sesso, /fa che né femmina né maschio/
possa più capire,/nascondimi, fammi solo/parola di Dio.”
R. Pazzi, “Il re, le parole”
S’io fossi uomo
di una donna amerei il suo futuro
il levarsi azzurro nel battito di ciglia
il fatto che così sottile
non sarò mai
che lei sì … lei sì
che a cielo e terra assomiglia
lei sì … che di punti luminosi può popolare il cosmo
ed io più che tuffarmi fra lucciole di mare
e immolar nei versi la sua bellezza
non posso fare
forse
acqua di schiuma potrei diventare
radica di fiume nel tunnel
o diventare nel suo ventre un sogno
ivi ruotare a rapide infinite
a levar di pio ruscello
come rospo e aquila
in acqua densa e chiara
con lei
che intanto
orizzonte diventa
Il collezionista
Tratto da "Erzulie"
In quella grande camera di ospedale – non troppo lontana da quella di Mario, il signore che pensava di essere Mozart – il dottor Krupp sta visitando il signor Wrumel in silenzio. Il paziente ripete ossessivamente un numero di telefono insieme a qualche frase sconnessa. Poi, tutt’a un tratto, sembra risvegliarsi ed imbastire un momento di lucidità.
-I suicidi non hanno una gran immagine nobile di se stessi, eh dottore?
Krupp scruta Wrumel con ancora maggiore attenzione. Molto curato, magrissimo, un viso un po’ aquilino, bocca sottile. Chissà- pensa Krupp - come si fa a dare un giudizio. Magari, per lui, la vita é sempre stata sempre tutta luccichii e mondanità, magari non ha mai avuto voglia di pensare a se stesso….un giorno si è trovato in difficoltà e non ha retto. Chissà. E mentre si attarda a fare queste riflessioni, Wrumel incomincia ad urlare “Erzulie, Erzulie, Erzulie.....,” aggiungendo, a tratti, “Luce..luce…”. Krupp , perplesso, si affretta a ordinare all’aasistente di preparare una siringa.
Ma Wrumel sembra di nuovo ripreso da un guizzo di lucidità.
-Anche lei è un mutante vero? Me lo dica dottore..me lo dica, come ha fatto a diventare anche lei un mutante...Io lo so che sto mutando, sto diventando qualcos’altro. .La prego dottore voglio morire, mi faccia uscire di qui.......
Una rabbia atavica e sinistra contro l’essersi dati la morte. In fondo, pensa Krupp , può capitare a tutti di pensare al suicidio. A volte , per sopravvivere, non c’è altra via di uscita se non quella di allontanarsi dalla trivialità quotidiana. Diventare qualcos’altro. Chissà. Certo Wrumel doveva aver attraversato tutto il vuoto che il mondo può offrire. Eppure, passando e ripassando per il senso profondo delle cose, aveva avuto la distrazione o la debolezza di comprare un biglietto di ritorno.
***
Rimaneva ancora estasiato - nonostante la sua prestigiosa collezione- davanti ad un Rolex Daytona. E ancor più deprivato di forze ad inseguire i bagliori tecnologici di un Ulysse Nardin. O meglio, di un Patek Philippe. V’era una seducente, malvagia, inevitabile differenza fra loro. Eppure un unico, esoterico potere.
Certa arte lo infastidiva. Non reggeva l’originalità dell’esotico, né la violenza dei prodotti barbarici. Non sarebbe mai riuscito a collezionare ceramiche etrusche. Di quell’arte amava esclusivamente l’indicazione- assolutamente intrinseca- di forme future: le decorazioni di tipo geometrico con linee rette o spezzate, cerchi concentrici, triangoli, croci uncinate....Il ritorno al deserto del cosmo. Kubric...2001 Odissea nello spazio.
Ma l’arte più esaltante è quella che rende auscultabile e razionale il carattere dominante del secolo e dei secoli. Il tempo. L’orologio, nella sua più pura perfezione geometrica.
Trascorse un bel po’ di tempo davanti alla vetrina dell’orologeria. Fisso, immobile. Intanto le persone si fermavano, guardavano , entravano , magari acquistavano e poi tornavano al quotidiano. Lui no. Non poteva.
Quell’orologio era la sua ossessione da anni. E proprio in quel preciso momento, assolutamente inaspettato, lui arrivò. Al polso di una donna davanti ad una vetrina. Faceva freddo, se ne accorse solo in quel momento, vedendo quel polso abbondantemente impellicciato. Ed il gelo crebbe nel momento in cui lei gli si avvicinò incurante per guardare un abito in vetrina. Sembrava una donna cresciuta incurante delle meraviglie tecnologiche, sensibile unicamente al fascino dei prodigi di immagine. E mentre Wrumel osservava quell’orologio al polso della donna , pensando il come ed il perché potesse andare in , una come quella, con un tale miracolo, decise di avvicinarvisi con discrezione, sfiorandole appena il braccio. Ne valutò il profumo dolce e intenso e, quasi languidamente, se ne sentì attratto. Come da un latteo odore di infanzia.
Ma si distaccò dal pensiero fisico di lei come dalla tentazione di fumare una sigaretta. Aveva una missione da compiere. Finse di urtarla con la ventiquattrore, si scusò e chiese con finto imbarazzo se le piacevano gli orologi.
Lei non parve imbarazzata, probabilmente, era abituata ad essere abbordata. Ora che la poteva guardare meglio, il viso gli apparve molto più intenso e raffinato di quanto avesse potuto immaginare in quella manciata di secondi.
- Naturalmente, ma più i gioielli. E a lei?
E si mise a ridacchiare. Credette di intuire che tipo di donna fosse. Un impulso imprudente che si prova quando non c’è bisogno di fare grandi acrobazie per sedurre una donna. Lei era lì, profumata e disponibile e le piacevano i gioielli. Ma l’unica cosa davvero reale, ora, era quell’orologio avvolto attorno al polso impellicciato. Osò così dirle che “Sì, mi piacciono, ma solo intorno al collo ed ai polsi di belle donne come lei”.
Rise ora apertamente arrossendo tutta, ma visibilmente decisa a congedarlo. Stava per dargli la mano, quando lui le chiese con sfrontatezza se poteva offrirle un caffè.
- Per carità, il caffè fa male alla pelle!
E fece cenno di voltare le spalle. Wrumel, dopo un attimo di imbarazzo e indecisione, tentò di afferrarla per un braccio. Lei si ritrasse con uno scatto , ma si fermò. Inaspettatamente e bruscamente frugò nella borsetta e ne tirò fuori una penna , per poi riporla subito allo stesso posto bruscamente. Lo guardò fitto negli occhi e gli disse che se proprio avesse voluto rivederla gli avrebbe dato un numero di telefono, ma con un pizzico di casualità.
- Glielo dico in fretta e non lo ripeterò. 333-54 13 043.
Voltandogli le spalle, si allontanò. Wrumel gridò.
- Sì, ma qual è il suo nome?
- Erzulie.
E si sciolse nella folla improvvisamente come lo zucchero in una tazza di caffè. Dopo lo scorcerto, Wrumel si mise a rimirare al proprio polso il Patek Philippe comprato due anni fa’ da un ladro di fama internazionale. Nel listino della casa ginevrina c’erano solo due modelli di ripetizione a minuti. Una semplice ed una arricchita dal calendario perpetuo. La versione semplice, un esemplare costruito nel 1961 privo dei secondi piccoli a ore sei, era già suo; l’altra, al polso di Erzulie. Cassa rotonda in oro giallo 18 Kt., quadrato bianco mat, cinturino in coccodrillo nero, movimento meccanico, a carica manuale, calibro 1 e linee a ponti separati, 29 rubini, aggiustato a caldo e a freddo in cinque posizioni, finitura a onda di Ginevra. Diametro 33 millimetri, peso 34 grammi, stima oltre 400.000 euro. Come poteva quella donna permettersi tanto? Come sarebbe riuscito a sottrarglielo?
333- 54 13 043. Fu un attimo e lei era già dall’altra parte del filo, sorpresa, ma non troppo. Voce roca e sensuale.
Le diede appuntamento per il giorno nella villa.
***
Nella villa fuori Roma, in compagnia degli orologi e di una robusta cameriera di mezza età, la vita di Wrumel pareva un po’ sbilenca, agli occhi della gente, ma, alla fine, accettabile. Un tipo superbo, poco avvezzo a concedersi agli umani. Quasi allergico al rumore della grande moltitudine.
Gli orologi erano tuta la sua vita. In quella grande villa la robusta cameriera si adoperava con enorme cura per conservarli nel loro originale splendore. Wrumel viveva in solitudine con loro come danzando in un grande salone disabitato fin quando non si faceva irresistibile il richiamo di qualche asta prestigiosa. Solo allora la vita, grigiamente cadenzata, si colorava di quella impagabile eccitazione. Preludio a variegate e fangose mostruosità. E solo allora la robusta cameriera accedeva alla cassaforte sotto il quadro di Rubens appeso in fondo al lungo corridoio del secondo piano del palazzo. Tutti gli orologi scelti per la rappresentazione venivano posati per l’occasione sopra un enorme logoro cuscino di raso viola.
Ma prima della vestizione c’era il caffè sorseggiato in altissimo silenzio.
- Venga avanti lentamente, Frida.
E la povera Frida reprimeva ormai da anni quel mondo di violenza immobile. Quasi, ormai, non se ne accorgeva. Impeccabile, ma senza ricordi. Notando la vistosa incertezza della domestica, insistette con maggiore convinzione:”Avanti Frida, avanti!”. E lei, affrettandosi goffamente, finalmente posò l’enorme cuscino viola sul tavolo nel salotto blu. Wrumel, sorridendo a se stesso, le disse che era il quinto a destra cominciando a contare dalla terza fila. Frida glielo pose senza dire una parola .
- Ha chiuso a chiave la stanza della cassaforte?
- La chiave è sotto il tappeto nel salone rosso, signor Wrumel.
- I cani hanno mangiato?
- Si, signore. Ha telefonato l’agenzia della Omas, vuole avere notizie sulla sua partecipazione all’asta di Berlino.
- Li chiamerò domani. Buonanotte, Frida.
Tutto eccitato, ma come obbedendo ad una legge superiore, ripose l’orologio posto dalla serva sul fazzoletto candido con il quale li ripuliva sempre, prima di ogni asta. C’era sempre un orologio prediletto che si cingeva al polso prima di ogni asta e con il quale si accompagnava ad ogni asta. Si sentiva un vero umanista, si sentiva di assaporare tutta la poesia e la violenza dello scorrere.E questa volta scelse un Vacheron, di quello stesso Jean Marc, che nel 1755, lavorava ore e ore sotto i tetti, pur di sfruttare tutta la luce indispensabile per portare a compimento un simile lavoro di precisione. Chi oggi, pensò, potrebbe fare la stessa cosa. Lo guardò. Lunetta rotonda, bracciale in oro, lancette e quadrante di forma inconfondibile, movimento calibro 458, bilancino monometallico compensato con viti e aggiustato al variare della temperatura.
Dolorante per lo sforzo di controllare l’eccitazione, riconobbe per un attimo di vivere come un morto insieme a tanti morti.
In quella condanna, però, si compiva un piccolo miracolo.
Immaginava……immaginava. Gli succedeva spesso , quando non riusciva più a reggere tanta bellezza, di trovarsi a fantasticare sulla vita di chi aveva posseduto , per ultimo, quell’oggetto. E così l’ultimo morto che aveva posseduto quel meraviglioso orologio era stato un uomo di medicina. E allora si trovò d’un tratto catapultato in una sala d’ospedale ad operare un paziente. Con severa discrezione mise mano ad un intruglio scivolante di budella e umori ignoti ed il paziente non sopravvisse. Difficile la vita di un medico, pensò. Ma quell’avere la vita degli altri nelle proprie mani pareva la cosa più bella e impossibile che avesse mai vissuto. Era sorprendente riuscire ad operare senza aver mai operato.
- Encefalogramma piatto, dottore.
- Non potevamo fare di più. Grazie.
- Parla lei ai parenti?
- Allora mi tolga il camice, per cortesia. Ha un pettine?
- Vuole un caffè, dottore?
Niente caffè, non si bevono caffè in sogno, in questo stato stralunato in mezzo all’oceano.
Dopo tutto, pensava Wrumel, bisogna riprovare a passare in incognito per la vita quotidiana. Come una nullità.
Si tolse quell’orologio dal polso e lo pulì con sacrale delicatezza.
***
La signora in abito scuro gli porse una piccola cornice in argento con la faccia del dottor Lunemberg.
- Sei stato tu a far suicidare mio fratello, te lo ricordi?
- Mia cara signora, io non la conosco.
Era irrotta nella villa con una violenza che nemmeno il figlio di Frida – robusto più della madre -era riuscito a fermare. Sembrava una naufraga e reagì all’indifferenza di Wrumel impuntandosi sulla descrizione degli avvenimenti. E cosi’ incominciò a parlare di Berlino e di Marie Cristine, dell’asta e del dolore del dottor Lunemberg dopo la morte della moglie.
Improvvisamente se ne ricordò. Isolde, certo, quella faccia triste e quella voce stridula appartenevano ad Isolde. Un tempo sua amante, prima o dopo Marie Cristine? Chissà quanto tempo era passato. Cominciò a sentirsi come in un fiume largo, trascinato dalla corrente verso le rapide di un sogno. E più andava giù a vedere di capire in quel torbidume di acque cosa vi fosse e più sentiva un senso acuto di nausea. Guardò Isolde in preda al terrore e le aggiustò il bracciale sul polso sinistro, stringendoglielo forte. Le disse di calmarsi e finse di non ricordare. E lei inesorabilmente riprese.
- L’hai ucciso tu, sei stato tu ad ucciderlo, bastardo.
Negò ancora una volta e chiamò Frida per fare accomodare Isolde alla porta. Ma lei resistette e gli sputò dritto sulla faccia. Wrumel allora la riprese violentemente per il polso e l’affidò al figlio di Frida che la trascinò via.
L’indomani sarebbe dovuto partire per Francoforte ed una seconda asta lo aspettava a fine settimana a Parigi. Non poteva curarsi di Isolde, per il momento. Ma quella donna che era guizzata cupamente ed inaspettatamente a casa sua non avrebbe dimenticato. Eppure il dottor Lunenberg, chiunque fosse stato, ormai era morto. E anche Marie Cristine .
E nulla era definito e definitivo.
Due giorni dopo raggiunse Londra che era da sempre, per via delle famose aste, un avvenimento di indubbia risonanza internazionale per tutti i più importanti collezionisti di orologi del mondo. Quel piccolo cronografo Patek Philippe non era più un segnatempo, era ormai divenuto un oggetto d’arte. Cassa in oro, 18 carati, numeri arabi in oro, tachimetro, calendario perpetuo e fasi lunari. Stima: trecento milioni. Il giorno stesso Thomas Milnes Gaskell lo aggiudicò a Wumel e ciò lo inebriò fino al totale smarrimento. Si alzò come in preda ad un orgasmo sordo e si avviò verso il banditore. La sua attenzione però fu catturata dalla donna accanto a Gaskell, che gli si rivolse con decisione:”Paga con la carta di credito, signore?”. Si accorse subito di quello sguardo glaciale, mentre si infilava dei guanti di pelle nera. Isolde lo stava perseguitando . Aveva l’aria di chi l’avesse cercato a lungo con assoluta determinazione, pronto ad qualsiasi cieco sacrificio per riscuotere tutto il riscuotibile. Improvvisamente prese Wrumel sottobraccio e se lo portò in un angolo del salone.
- Ti ricordi quando a Roma hai negato tutto?
A quel punto Wrumel capì che non aveva scampo. La lasciò sfogare, le lasciò dire di tutto, senza battere ciglio. Lei arrivò quasi al punto di balbettare. Solo allora la aggredì misurato.
- Ma ogni uomo merita di essere perdonato prima o poi....ogni uomo deve avere il diritto di risalire in superficie, non credi ? Credimi, comunque, non è per il tradimento di Marie Cristine con me che tuo fratello si è suicidato. No, no....
Scrollò la testa. C’era qualcosa di più e il collezionista lo sapeva bene. A Isolde ,però ,che altro avrebbe potuto dire se non che aveva perduto fiducia in se stesso per via di alcuni affari andati a male. Lei sapeva solo dell’atto conclusivo, di quell’Ulysse Nardin vinto all’asta di Berlino qualche tempo prima e poi rubatogli nella villa di Parigi. Gli era costato una vera fortuna l’ingaggiare un ladro internazionale di grande talento per avere quel gioiello. In realtà, non era mai giunto a tanto, nella sua vita. Soprattutto per il fatto che aveva infierito, per la prima volta, su due persone deboli, incapaci di difendersi.
Certo, quella specie di delitto l’aveva definitivamente convinto che stava arrivando all’ultima meta. Nessuno si conosce mai abbastanza fin quando non arriva al totale disprezzo di se’. La malvagità così muta in un grande pianto. E il pianto si sublima in conoscenza pura di se’. Prese lui questa volta sotto braccio un’Isolde ormai inerme, esausta, e l’accompagnò fuori, all’aria aperta e le confermò che avrebbero parlato più tardi. Ma non era vero.
Si sottrasse alla sua morsa con una domanda nella testa. E ora cosa avrebbe fatto della sua vita?
***
Il dottor Krupp guarda sorridente un Wrumel decisamente ripresosi.
- E’ al corrente di come mai è stato ricoverato qui, signor Wrumel?
La prima cosa che viene in mente a Wrumel pensa che lo stato di assoluta immunità di cui gode il malato stava per finire. Certo che lo sa, come c’è finito qui. D’altronde, considerata l’assoluta assurdità di spiegare un suicidio al mondo, se ne sta zitto.
Per metterlo a suo agio e rompere il ghiaccio , Krupp gli chiede se sente nostalgia di Roma, gran bella città. Ma che razza di senso poteva avere una domanda del genere, pensa Wrumel. Uno che vuole chiudere con la vita, può forse avere nostalgia di qualcosa. Però, dentro di lui, qualcosa si deve essere pur innescato , perché la prima parola che gli viene in mente è piacere. Sì, piacere. Se per caso ci si avvicina ad una donna avvenente, ecco, essa può piacere. Come può piacere un buon vino o una cravatta oppure un bel paio d’occhi.
E reagisce a Krupp.
- A me gli orologi non piacciono.
Krupp lo guarda per niente sorpreso.
- Mi risulta che lei sia un collezionista di orologi.
Sì, pensa Wrumel, gli orologi non possono piacere. Loro sono il piacere. Sono tutte le lacrime del mondo e tutte le battaglie. Parlano, si esprimono, custodiscono l’interiorità del tempo con discrezione. Sono un alfabetico profetico perché è loro e solo loro il futuro.. Ogni millesimo di secondo che passa, ogni confortante ticchettio cancella il ticchettio precedente e ci libera dall’angoscia del passato.
- Se per il momento non riesce a rispondere, non si sforzi. Faccia solo un piccolo cenno con la testa , se le va. Altrimenti è lo stesso.
La pazienza di Krupp merita per Wrumel un piccolo assenso e si esprime così in una sorta di smorfia benevola.
- Per caso, signor Wrumel, ha dei vuoti di memoria?
Col passare delle settimane, in quella camera d’ospedale, in fondo, pensa Krupp, Wrumel ha trovato finalmente un po’ di sollievo. Altri due mesi di cure assidue e si vedrà qualche frutto. D’altra parte si sa che esistono anime perdute ed irrequiete che, avendo vissuto intensamente e tumultuosamente per tanto tempo, debbono riposarsi per poi riprendere in mano, solo dopo un po’, quel mondo di grandi avventure.
Krupp stancamente riprende in mano il filo del discorso, sempre piu’ deciso a tirare fuori qualche parola a Wrumel. La vera ossessione del suo paziente, pensa, è Erzulie, quasi non ha più dubbi. Non gli orologi. Questa Erzulie, come diventata una “sustantia” insostituibile. Chissà, forse simbolo di tutti i fallimenti e di tutti i riscatti. Lei l’orologio eterno, lei la sagoma del tempo di tutti . E di Wrumel in particolare. Eppure, Wrumer di donne affascinanti deve averne conosciute e sedotte parecchie… Ma la sua mente è bizzarra, volitiva, perversa. Chissà. Krupp ora è tagliente.
- Perché ha voluto sostituire nella sua vita le donne con gli orologi?
Nessuna risposta di Wrumel.
- Lasciamolo riposare.
Il tono della voce di Krupp piace molto a Wrumel, non è invadente. Certo, se non rispondere significa poter rimanere ancora un po’ qui, meglio non rispondere ancora per un po’. Erzulie l’ha fino a qui. E’ un suo dono, non si può sprecare.
***
Una signora bruna con gli occhi chiari , con fare svogliato, seguiva due passi dietro il dottor Lunemberg. Lo pedinava stancamente verso il bancone del check-in, trascinandosi malvolentieri un leggero bagaglio a mano. Un viso scavato, piuttosto bella. Per il resto agli occhi di Wrumel appariva molto più interessante il dottor Lunemberg, probabile marito della signora. Oltre al fatto che operava polmoni e cervelli in giro per il mondo, amava collezionare orologi e rappresentava l’unico potenziale nemico a quell’asta. A Fiumicino era stato facile farsi segnalare da un investigatore la coppia tranquillamente seduta al bar adiacente il duty free. Di Lunemberg aveva solo sentito parlare, non aveva mai avuto la fortuna di conoscerlo personalmente. Così si avvicinò al luogo di ristorazione con la sua valigia semivuota. Un po’ impacciato, sedette al tavola accanto al loro quasi ribaltando una sedia. La coppia, quasi all’unisono, sembrò interessarsi all’evento per poi ripararsi nell’immediato istante dopo, in un fittissima conversazione. Lunemberg ordinò due alcolici guardando di sbieco Wrumel. Lei, invece, sembrava distante, una di quelle donne dal sapore acre, che quando si muove o suda da l’idea di fare gesti assolutamente inusuali. Wrumel considerò che ci sono persone che paiono non appartenere completamente a questo mondo e che se piangono o si spogliano, meravigliano. E solo per questo sembrano aver diritto a quasi tutto. Mentre era assorto in questi pensieri, fece cadere, distratto, la tazza del the. Lunemberg fu il primo a voltarsi, seguito un attimo dopo dalla moglie, che stava sorseggiando avidamente un bicchiere di vino bianco. Wrumer sorrise loro con grazia ma visibilmente imbarazzato e butto lì se per caso sapessero se l’area per Berlino era in orario. Lunemberg rispose e poi lasciò cadere nel nulla quei brandelli di conversazione. Ma fu lei, quasi sornionamente, a riprendere il filo con una domanda banalissima:”Anche lei va a Berlino? Il tempo pare che sarà molto brutto”. Wrumer disse che tanto ci andava per affari e non avrebbe avuto molto tempo per girare la città. Pareva un tranquillo commesso viaggiatore. Tant’è che lei gli chiese se viaggiasse spesso. Lui rispose di sì, soprattutto da quando abitava a Roma e non più in Austria. E lei era ormai in vena di continuare la conversazione.
- Anche noi viaggiamo spesso.....io...
Lunemberg la interruppe come se avesse timore che la moglie si lasciasse andare a qualche strana confidenza.
- Sa, sono medico e vado a molti congressi in giro per il mondo. Mia moglie mi segue con fin troppa pazienza.
Sorrise guardandola con tenerezza con lei che, non dicendo nulla e storpiando di riflesso la bocca alle parole di lui, faceva intendere molte cose interessanti. Così Wrumel cominciò ad avventurarsi con maggiore serietà in un gioco assai divertente.
- E lei , signora, non si annoia, a tutti questi congressi dove probabilmente non si fa che parlare di morte?
Lunemberg sembrò fulminarlo.
- La morte non annoia mai, signor.....
- Wrumel.
E questa volta Lunemberg lo guardò intimorito. Wrumel , d’altro canto, colse lo sguardo di Lunemberg con una spontanea mansuetudine. La risposta di lei era stata intensa , inaspettata.
- Su via, penseremo alla morte al momento giusto. Andiamo, altrimenti perderemo l’aereo. E allora addio asta, vero signor Wrumel?
E Lunemberg trascinò via la moglie.
***
333-54 13 043 . Wrumel era uno che viveva sempre nel presente. Non aveva interesse nei confronti del futuro.
- Erzulie?
Dall’altra parte del filo si sentì un soffio leggero: “Siiii”. Il tono della voce perplesso.
- Allora devo proprio sparire dalla sua vita. Non è venuta alla villa, l’ho aspettata tutta la sera, lo sa?
- Difficilmente accetto inviti da estranei. Soprattutto se amano piu’ gli orologi degli umani che li portano al polso.
Wrumel rimase senza parole. Avrebbe voluto dirle che aveva ragione, che però era solo e con dentro perennemente questa ossessione. Che gli avrebbe fato bene parlarne, che l’avrebbe rivista non solo per via di quel Patek Philippe. Che stava vivendo la sua vita senza rendersene conto, che non poteva andare avanti così. Ma non disse nulla. Rimase in silenzio fin quando Erzulie non ripose la cornetta. Si sentì improvvisamente dolorante, come dopo una battaglia persa.
Non gli era mai capitato di essere così profondamente messo alla scoperto. Ma chi era quella donna. La notte, impaurito dal fatto che Erzulie avesse capito tutto di lui, Wrumel non resistette. Sottrasse di soppiatto dalla cassaforte il grande cuscino viola e lo usò come guanciale per i propri sogni. E così l’assenza dal mondo fu totale. Talmente totale che, prima di prendere sonno, si autocelebrò. Dalla cassaforte ritirò uno per uno, con ansia vorace, tutti i trecentonovantasette orologi che avevano fatto la storia orologiaia degli ultimi secoli. Tutti i maggiori collezionisti del mondo avrebbero fatto carte false per toccare, almeno una volta, nella loro vita, tutto quel bene di Dio. Tutta una morbosa vita dietro a quel bene di Dio. Il sogno morboso, in fondo, di ogni morboso amante d’arte. Fare fori immaginari nei vetri che proteggono Gioconde e Caravaggio nelle sale superprotette nei musei piu’ prestigiosi per toccare- solo per una manciata di secondi- la tela imbrattata da tanta magica iraconda follia. Un tocco diabolico - a mo’ di morso di vampiro- per avere la stessa capacità un giorno di fare prodigi di tal tipo. Anche comprando, collezionando.....non importava come.
Così qualsiasi collezionista da amante d’arte si trasformava in colui che aveva l’arte, perché semplicemente la possedeva. Così quella notte Wrumel organizzò una festa nella camera da letto. I piu’ preziosi orologi furono sistemati in ogni remoto angolo. In una danza gioiosa poi si divertì a farli saltare fuori da ogni buco, da ogni angolo, dalle abajours, dalle scatole di cristallo, dai candelieri, dalle viscere di pavimenti e tappeti. Il letto pieno di orologi posati ovunque sul copriletto di velluto a fiori e disposti a margherita, triangoli, iperboli finite, ellissi, coni, piramidi....Nessuno avrebbe mai potuto capire quanto questo gesto avesse decretato la fine del giovane Wrumel. Con questo gesto autocelebrativo Wrumel rimarcava il significato di un’assenza. Di lei, del diavolo.
Si addormentò stremato sul pavimento con il pensiero di Erzulie.
***
A Berlino non fu difficile rintracciare l’hotel dei signori Lunemberg. Il loro taxi, lungo la Budapeststrasse, approdò all’International Continental Berlin e di lì a poco prenotò una camera anche Wrumel. Per tutta la giornata era stato a Posdam, un piccolo borgo che, fino al Seicento, si raggiungeva da Berlino con cinque ore di cavallo. Era assediato da canali e specchi d’acqua e tagliato fuori dalle grandi strade commerciali. Nel castello di Sans-souci, costruito per Federico il Grande, s’immerse in un’ellittica sala dei marmi ad ammirare Rubens e Van Dick. Era l’atmosfera di una terra rarefatta, che non tentava di vivere nemmeno il suo passato.
Rientrato in città, si rifugiò in albergo nel cuore della Berlino prussiana ed imperiale. All’ingresso dell’hotel dei Lunemberg si ergeva una singolare piramide di vetro ed il lunghissimo corridoio, prima di arrivare al bureau, si affacciava su uno splendido giardino. Li li incrociò , proprio mentre si stavano avviando verso la biblioteca . Salutarono Wrumel con un sorriso stirato, ma per niente sospettoso. La sale a’ manger pullulava di uomini e donne avvolti in surreali vestiti eleganti, mentre l’unica cosa reale sembrava un buon piatto di cacciagione con una bottiglia di Richebang.
Fu sull’ascensore che ebbe quella prima sensazione cui ne fecero seguito molte altre. Quella di essere ad un passo da una soglia, ormai minima, di sopportazione. Al momento non ebbe paura. Solo nausea, una nausea da capogiro. Ma si trattava di andare fino in fondo. Null’altro importava tranne l’asta e quel gioiello.
Ma rientrato in camera, capì che stava mutando. Sì, stava mutando. Provò a chiamare Frida per chiedere se aveva controllato la cassaforte, ma la linea non si prendeva con facilità e ci volle piu’ di mezz’ora per riuscire a parlare con Roma. Nemmeno il sapere che era tutto a posto lo conforto, si sentiva a disagio come mai nella sua vita. Non avrebbe più potuto vivere come prima. In quel piccolo mondo attaccato ai lacci stretti dei suoi orologi.
Ma si riebbe, finalmente. Aveva una missione, solo quella contava. Per tutta la sua vita era andato oltre il senso di comunione tra gli esseri umani. Erano sempre stati ronzii fastidiosi, gli esseri umani. Per questo stava mutando, tutto qui. In fondo era riuscito ad ottenere un trionfale passaggio sulla terra grazie a tutti quegli orologi ottenuti con crudeltà e indifferenza.Nessuno avrebbe potuto salvarlo da quella piccola feritoia nel fondo del mondo in cui si era incuneato.
Il giorno dopo Wrumel cercò di riprovare ad essere quello di prima. All’ora di cena incontrò i Lunemberg in una sale a’ manger che odorava di anatra arrosto con molte spezie. La signora Lunenmberg gli sorrise scostando lievemente dal sopracciglio destro una punta ribelle di frangia bruna. Si fermarono e cominciarono a parlare controvoglia dell’asta dell’indomani pomeriggio. Stavano entrando un po’ piu’ nel dettaglio, quando squillò il cellulare di Lunemberg. Un paziente stava per avere una crisi di rigetto e forse sarebbe dovuto partire per Parigi, ma sarebbe rientrato il giorno dopo. Schiarendosi la voce e con un po’ di imbarazzo chiese scusa alla moglie e le chiese se sarebbe rimasta volentieri a Berlino ad attenderla. Lei non rispose subito. Chissà, forse non credeva al racconto del marito, forse non era preparata, fatto sta che rimase un attimo perplessa e guardò di sbieco Wrumel. E di soppiatto buttò lì una proposta sorprendente.
- Ha già cenato signor Wrumel?
E offrendo a suo marito un misurato cenno di comprensione, gli rispose che sarebbe rimasta in hotel ad attenderlo e che non si sarebbe dovuto preoccupare. Lo abbracciò stancamente e prese sotto braccio Wrumel.
***
Wrumel era dietro la porta del bagno con il cellulare di Erzulie in mano.
- 333-54 13 043. A volte mi chiedo se i numeri di telefono abbiano un significato che va oltre…non so..una figura, un viso…
Erzulie, dalla stanza del bagno con la porta socchiusa, non rispose. Sembrava che ogni volta, dopo l’amore, si allontanasse. Sembrava rifugiarsi in un mondo inafferrabile in cui Wrumel si sentiva estraneo e rifiutato.Dopo qualche minuto, con la faccia di chi vuole impartire ordini, si affacciò dalla porta coi capelli bagnati e lo sguardo penetrante di chi aveva riflettuto a lungo.
- Se t’immagini un piano cartesiano in cui ogni numero degli ultimi sette rappresenta un punto preciso e li vai a riunire tutti e sette...scopri il mistero.
E si mise a ridacchiare.Wrumel pensò che nessuna come lei sapeva creare delle atmosfere così irreali. Si mise a ridacchiare anche lui. Lei lo guardò seria e gli chiese se sapeva cosa fosse un pentacolo.
Non aveva mai creduto a certe follie. Erzulie diventò d’un tratto seria.
- Un pentacolo è un oggetto dalle occulte e potenziali proprietà. Solo che finisce per non avere alcun valore se il possessore non ne conosce il significato profondo.
Wrumel non era miscredente, non era religioso, non era ateo, non era un bel nulla.
- Sei religiosa?
Non rispose. Disse solo che nel suo pentacolo a sette lati, in isergo, c’era scritto”Quis ut Deus?” e che questa domanda, da sola, conteneva tutti i misteri del mondo. E che quando si sentiva sola ed infelice quel pentacolo la salvava da ogni amarezza.
Wrumel ebbe un brivido lungo la colonna vertebrale e la interruppe sostenendo che erano tutte sciocchezze.
- Hai tutto il diritto di giudicarle sciocchezze, ma la domanda “Chi è simile a Dio” fu quella con la quale Dio fulminò e lanciò negli abissi Satana. Questa domanda ci salva dall’oscurità, te lo assicuro.
Wrumel parve piuttosto seccato ed Erzulie si vestì in fretta. Bizzarramente divina, Erzulie pareva di cartone. Un mutante. Che fosse davvero reale? Dopo la storia coi signori Lunemberg e l’incontro con Isolde, Wrumel non era più lo stesso uomo. Si era innamorato. Anzi, caduto in amore, come si dice in lingua inglese. Erzulie era arrivata per salvarlo con quell’amore di cui non si riesce a parlare. Che prende forma man mano che se ne disvela l’ineluttabilità e talvolta la ferocia. Non poteva negare che quello fosse un amore terreno. Ma una storia d’amore è fatta di nomi, luoghi, cose da distinguere e da chiamare ed Erzulie era una creatura strana, inafferrabile. Scompariva e ricompariva improvvisamente, avolte stava mesi senza farsi viva. E Wrumel ne rimaneva ogni volta abbacinato, destabilizzato. Le risate fredde seguite da commiati ancora più freddi persi in un pallido futuro prossimo , non gli facevano trovare pace. Sentiva di non avere scampo, di essere diventato ad un tratto stupido, di essersi scelleratamente invaghito di un animale sinistro. Che solo diventando un mutante avrebbe potuto afferrare. Si sentiva solo. Nessuno che stesse lì a provarci, a tentare di scavare in quella sua passione fredda.
***
Sul Berliner Zeitung c’erano almeno duecento inserzioni che invitavano a passare due ore con “Maya più che desnuda” o con “Nadya la maga dalle dita elettriche”. Magari in locali come il “Domina” di Kleinstrasse, dove , per entrare, bisognava suonare almeno tredici volte. Ma la signora Lunemberg esigeva solo sobrietà. Nella Fasaunenstrasse c’era un grazioso ristorantino francese. Mentre Marie Cristine tentò un paio di discorsi senza capo né coda , Wrumel fantasticava come sedurla rapidamente. Certo il senso di disagio era forte, era una sorta di intrepidezza di cui provava addirittura vergogna. E mentre Marie Cristine esordì con un'osservazione gastronomica, lui arrossì per riprendersi un attimo dopo. Scelsero il vino, uno Chateau Coutet piuttosto invecchiato e due patè d’oca.
- Anche lei si intende di vini? Sa che quando abitavo a Roma andavo spesso alla Tartana da Mario?
- L’ostricaro sulla Via Appia?
- E’ proprio sotto la porta pontificia.
- ha abitato a Roma per molti anni?
- No, ma amo l’Italia.
Parava austera, mentre lo confessava.
- E’ mai stata a vedere Nefertiti?
S’illumino’.
- E me lo chiede? Nelle sale del Museo Egizio ci ho passato delle giornate intere. Lei non ci crederà, ma sapesse quante volte mi sono immedesimata in quel volto......
- E’ una gran fortuna diventare immortali grazie ad un busto di gesso passato indenne attraverso i millenni, eh?
Rise ansiosamente.
-Eppure, nonostante fosse la moglie del faraone, non hanno avuto dei gran riguardi nei suoi confronti, visto che ha un occhio solo, non le pare?
E rise.Guardandola con attenzione Wrumel ne scorse la disperazione. Il discorso sui quadri di Carl Hofer e sulla sua danza dei morti e di come quei volti fossero simili a teschi, venne di conseguenza.
- Lo sa che fino all’avvento del Nazismo dipingeva solo sereni paesaggi ticinesi o visi femminili? Ci pensa lei quanto la Nuova Germania disorientò gli artisti?
Marie Cristini guardò Wrumel vitrea come se si fossero sollevati in lei dei brutti ricordi.
- E ora come si trova a Parigi?
- Bene, tutto sommato. Anche se, da quando abito a Parigi, ho passato un lungo periodo in clinica. A Roma sono venuta qualche mese fa’ per dei controlli che non potevo fare a Parigi. Io..io…...
Wrumel, non volendosi mostrare troppo curioso, la interruppe affrontando il discorso sghembamente.
- Meglio le cliniche degli ospedali, non trova?
Lei cadde in silenzio e Wrumel avvertì quasi con commozione il cerchio freddo che la circondava. Le toccò la mano e lei, per un attimo, si lasciò esplorare.
***
L’asta presentava un lotto di eccezione. Un rarissimo Ulysse Nardin, “tasti quadri”, calendario perpetuo, costruito in pochissimi esemplari tra il 1941 ed il 1954. Valore, circa 380.000 euro. Wrumel desiderava quell’oggetto eroticamente, senza pudore.
Tutto nasceva da quel puro istinto, dal piacere di una porta che si apre per illuminare sotto la coperta fredda di un quadrante di cristall0o, il tempo. Avrebbe sottratto quel gioiello a chiunque e soprattutto a Lunemberg. E a qualsiasi costo, anche a costo di riprovare quella nausea verso se stesso che solo tre giorni prima l’aveva ridotto in uno stato da capogiro.
Si stava ritirando nella sua stanza di albergo , quando ebbe l’impressione di essere seguito. E mentre provava questa sensazione, già si affacciava il rammarico che avrebbe provato in futuro per avere avuto la debolezza di voltarsi. Marie Cristine Lunemberg era alticcia e lo seguiva sorridendo in maniera molto accattivante cercando di offrirgli il braccio. Eppure l’aveva accompagnata solo qualche momento prima nella sua stanza.
- Si fermi, signor Wrumel, la prego.
Wrumer si fermò, sentendosi un intruso. Improvvisamente gli sembrò di provare dell’affetto. Davanti alla stanza di Marie Cristine , si bloccarono entrambi rimanendo in silenzio. Quel pensiero gli trillava nella testa da qualche giorno. Che male c’era a desiderare una donna. Che male c’era ad invitarla a parlare davanti ad una finestra illuminata.
- Mi parlerà ancora un po’ di Roma?
Marie Crisitne trasmetteva un senso di irrealtà, una spirale di vertigine. La prese sotto braccio e si fece guidare da lei nella suite a sedersi sul divano, proprio sotto un’enorme finestra su Berlino illuminata.
- Se vuole le parlerò di Napoli, che ne dice? Si ricorda di Castel dell’Ovo, il fortino sul mare?
Lo guardò in attesa.
- Era un covo di passaggi misteriosi, di segrete....Se la immagina mai un’atmosfera perennemente antica...con l’eco di armi ed armigeri....
Chissà se a Marie Cristine importava veramente qualcosa dell’Italia. Magari voleva fare solo l’amore o farsi rinfrescare il collo. E l’indomani dimenticare tutto. Così Wrumel incalzò a testa bassa.
- Posso essere un testimone molto silenzioso, se lei vuole.
Marie Cristine stette un attimo in silenzio come per prendere forza e chiese qualcosa di forte da bere. La vita è strana, non si sa mai perché certe cose debbano capitare solo ed esclusivamente a te, pensò Wrumel. La confidenza di quel male inoperabile lo colse impreparato, esterrefatto. Marie Cristine ne parlò senza un moto di ribellione e anche con un’estrema naturalezza. Non ebbe alcuna esitazione, a quel punto, ad abbracciarla con impeto, commosso ed impotente. E mentre la baciava e la conduceva inevitabilmente all’amore, pensò all’inutilità di quei cerchi in cui ognuno si nasconde illudendosi di custodire chissà quali segreti.
***
Marie Cristine arrivò verso Wrumel con accanto una donna piccola, magra e bruna e si sedette con lei sul divanetto della hall. Gli presentò Isolde con uno sguardo di intesa. Disse che era appena arrivata da Parigi e che si sarebbe trattenuta fino alla fine dell’asta, faceva la spalla ai banditori. Era bruttina, pensò Wrumel, ma nei lineamenti si presagivano sensualità e perversione. Allettante, pensò Wrumel. Le donne per lui erano sempre state delle statuine di sale. E principalmente per narcisa necessità. A tutte loro era veramente grato ed affezionato, ma senza entrarne mai nei recessi più fondi. Così, alla fine, era finito prima nelle braccia di Marie Cristine e poi in quelle di Isolde, affascinato da un’atmosfera di desideri e sotterfugi. Che una donna restasse o partisse, non importava. Il suo cinismo penetrava Marie Crisitne o Isolde come si un coltello ben affilato pulisce un frutto e ne butta via la buccia appena possibile. Così nessuno avrebbe potuto ripudiarlo, adularlo o corromperlo. Ogni tanto si sentiva costretto a curvarsi sull’umanità, ad offrire una carezza. Ma nei suoi recessi più intimi, nessuno l’aveva mai violato. Le donne ne misuravano l’incommensurabilità di un’ossessione e fuggivano inorridite.
Dopo l’asta di Berlino e l’assegnazione dell’Ulysse Nardin a Lunemberg per trecentottanta milioni, Wrumel aveva continuato a coltivare la relazione amorosa sia con Marie Cristine sia con Isolde. Con asciutta oggettività Wrumel aveva considerato che Lunemberg avesse dato prova di possedere eccezionali qualità di collezionista e sempre più si era avvicinato a lui , riuscendo a costruire pazientemente una specie di sodalizio in cui il medico aveva finito per abbandonarsi, parlando con Wrumel della sua passione per l’arte orologiaia e del talento per gli affari. Wrumel , frequentando spesso la casa dei Lunemberg a Parigi, venne presto a sapere dove fosse situata la cassaforte con gli orologi e dell’immenso patrimonio di lei. Di Marie Cristine il burbero Lunemberg cominciò a parlare apertamente dopo alcuni mesi e quasi casualmente, riuscendogli impossibile non dire quanto fosse bella in una foto di gioventù.
- Ci vuole molto coraggio, sa, per accettare una cosa del genere.
Lo disse scrutando Wrumel a fondo per capire fino a che punto fosse a conoscenza della malattia della moglie.
Wrumel esitò a lungo, poi si rese conto di non dovere dire nulla. Dopo poco, infatti, il suo interlocutore proseguì come ferito a morte. Ed in un delirio scientifico e ragionato, affermò che, fra tante teorie vacillanti e la totalità di cure tentate non rimaneva che aspettare il regolare decorso della malattia. Ma non riuscì a finire il ragionamento perché entrò lei. Si contorceva tossendo nella semioscurità del salone e se ne intuiva opacamente la figura. Salutò, disse che erano le correnti d’aria e tornò in camera.
- Lunemberg scrollò le spalle e sussurrò a Wrumel con amarezza che ormai si era alla fine e lui, nonostante il via vai di preti e religiosi che entravano e uscivano in quel periodo, non ne ricavava alcuna consolazione, non credeva affatto all’immortalità dell’anima. Sembrava amarla molto, più del previsto e più di quanto Wrumel potesse minimamente comprendere. Ma , ormai, non poteva ritirarsi, doveva mantenere quel ruolo effimero e spiettato fino all’ultimo.
Quando Marie Cristine mancò, Wrumel cominciò a diradare le visite. Da parte sua, Lunemberg , col tempo, si rincantucciò sempre più nella nicchia dorata della passione per gli orologi . Non fu difficile, per un amico di famiglia come lui, ormai al corrente di tutti i meandri ed i segreti della villa di Parigi, fargli sottrarre tutto l’immenso patrimonio orologiaio che pulsava in quella cassaforte.
Fu dopo alcuni mesi che seppe da Isolde della disgrazia. Poco dopo il furto , Lunemberg s’era tolto la vita, senza lasciar detto nulla.
***
- Ti amo.
Le dita di Erzulie lo accarezzavano conficcate fra i capelli come artigli . Per tutta la notte Wrumel l’aveva vista camminare su e giù per la camera da letto pallida e preoccupata. Solo verso l’alba si era sdraiata. Improvvisamente si sentì scorso da un brivido che lo paralizzò fino quasi al cuore. Gli parve impossibile eppure reale auscultare con tanta chiarezza la lenta mutazione di un essere. Era come viaggiare nel corpo di lei e vederne ogni sentiero indiavolato e poi l'ingravidarsi, a poco a poco, di tutte le viscere, con un nuovo alito vitale. La stanza odorava di paura. Una paura feroce ed assoluta, ma inevitabile. Si trattava di entrare in un’altra pelle. Essere altro.
Chi era quella donna? Era solo una puttana o un frammento di divinità in divenire? E mentre lei lo accarezzava, scorrevano immagini insidiose di qualcosa di innaturale e leggero. A viaggiarle dentro si percorreva un terreno fangoso e poi linee, dune e scoscese montagne. L’intera avventura con lei, ora lo capiva, era stato un modo per elevarsi dal caos dell’indefinibile fino al silenzio di continue genesi e metamorfosi.
Allungò la mano sui suoi capelli e le disse che non avrebbe potuto amare un oggetto in continuo movimento e che solo Dio ci sarebbe riuscito.
Wrumel si era staccato da una moltitudine di cose e uomini nella vita, non aveva paura. Si sentì leggero. Come di chi getta dinamite alle proprie spalle non appena attraversa un ponte.
- Io so chi sei, Erzulie.
E così dicendo, Erzulie cominciò a rarefarsi e, facendosi via via più fioca, se ne perdevano i contorni. Volò via nella sua ombra che si spandeva quasi luminosa. Wrumel chiuse gli occhi premendosi con le mani le tempie. Era sogno o realtà.
Poi le sue mani e la voce roca.
- Ritornerai creatura umana. Ti ho ridato la paura ed i ricordi dei tuoi delitti.
Wrumel sentì un passo cauto verso la porta della camera da letto. E finalmente fu cosciente di essersi svegliato, mentre Erzulie se ne era andata. Forse era tornata da dove era venuta, dal sogno. E nel momento stesso in cui nella mente di Wrumel fu chiara la separazione, fu la totale, assoluta disperazione. Perché, pur sentendone ancora il sapore, Erzulie, forse o era una puttana o non era mai esistita. Oramai , però, Wrumel non si fidava più di se stesso, chissà da quanto tempo viveva in quella folle condizione senza memoria. Ma come avrebbe potuto tornare indietro. Era un mutante in stato di semiveglia. Erzulie gli si era radicata dentro. Lui, cioè Erzulie, si toccavano agli estremi e si fondevano come dentro un bacino d’acqua notturno. Era pressochè impossibile cogliere un pur sia vago dettaglio, che potesse far risalire all’origine della contaminazione. In quel mondo geneticamente mutato, l’uno prendeva, l’altra lasciava.
Prima di quella tardissima cena a base di pillole della morte, il suo meditabondo indugiare dentro quel bacino nero e deforme, gli fece accettare l’idea di essere stato, per tutta la vita, il proprio carnefice.
Nicoletta Poli, ricercatrice IRS (http://www.irs-online.it/), filosofa, scrittrice e poetessa. http://psicofilosofia.jimdo.com/