Lino Carriero
Il fenomeno della noia e i giovani
Parlare della noia come di un fenomeno che stimoli in noi una riflessione sull’amore sembra un paradosso, tuttavia è urgente ammetterlo visto che nella società attuale non basta farlo solo in relazione alla depressione e agli anziani. Noia è sinonimo di mancanza di stimolazione, di motivazione e perciò è assai inquietante che nell’era delle rivoluzioni tecnologiche debbano essere i giovani ad essere affetti dalla noia. Proprio i giovani, come si sa, vivono il tempo della ricerca, della sete delle prime esperienze a 360°, dato che, non avendo ancora sufficiente conoscenze, non hanno la possibilità di esprimere le proprie competenze e qualità sia a se stessi (formandosi così un’identità) sia verso la società dei pari e degli adulti.
L’adolescenza è quindi l’età volta all’attività per antonomasia.
Sin da Aristotele, Spinosa, Goethe e a Marx con il concetto di attività, opposto a passività, ci si riferisce a qualcosa che porta all’espressione di forze, insite nell’uomo. Freud direbbe pulsioni di vita. La noia può esser vista più profondamente come una pulsione di morte: morte di ordini socialmente precostituiti, per esempio. Della capacità di smascheramento dei falsi modelli (o dei modelli come schemi di rigido potere degli adulti) credo che nessuno di noi, essendo stato anche giovane, voglia dubitare. Ma quest’osservazione presuppone da parte dei giovani annoiati anche un minimo di consapevolezza per ricondurre la noia in un alveo costruttivo anche rivoluzionario. L’attività, l’essere attivo fa di un uomo un soggetto, sia che fosse un pensatore o un esecutore materiale. Un giovane annoiato è un oggetto: la noia è la testimonianza sintomatica della passività. In un quadro più generale l’anticamera della noia e della passività è l’omologazione socio-culturale, la visione della realtà omogenea e immodificabile. Ovviamente chi definisce l’ordine costituito è sempre stata la società degli adulti, che per definizione sono portati ad essere conservatori, soffocatori degli impulsi al cambiamento che solo dalle nuove generazioni possono arrivare. Nella misura in cui i giovani dispongono e possono esprimere forze propulsive allora possono immaginare di inventare: immaginare che l’essere umano si faccia inventore. Ma viviamo nella società dove tutto è gia stato inventato e ad inventare ora sono chiamate le macchine. Mentre cresce la nostra ammirazione per le tecnologie diminuisce l’idea che l’uomo sia attivamente inventore. Psicologicamente esso non si percepisce più inventore di sè, del proprio destino unico e originale, non omologato e non previsto a priori. La tendenza cui assistiamo è la perdita del senso funzionale del tempo: viviamo in un’età unica senza passato e futuro, quindi senza memoria e speranza. Un eterno presente dove tutto è promesso come gia svelato e possibile (in realtà è già difficile per chi ha accesso ai mezzi economici).
Una società dove il senso del fare e del pensare sia visto in chiave propositiva e di confronto induce l’essere umano allo sviluppo della consapevolezza e a raggiungere una maturità sempre maggiore, uno sviluppo dell’amore, del senso artistico della vita. Cose implicite nell’essere umano che aspettano solo che esso le attui. Attività è a questo punto applicazione, applicazione di sé come scoperta, scelta e affermazione di un identità propria. Cose di cui i giovani annoiati di cui seguiamo in televisione le gesta distruttive e autodistruttive non sono stati educati ad immaginare come possibili, nella società del “tutto e subito”.
“Se parti dal presupposto che un uomo sia un uomo e il suo rapporto con il mondo sia umano, potrai scambiare amore solo con amore, fiducia con fiducia…Se vuoi esercitare influenza su altri uomini, devi essere davvero un uomo che agisce sugli altri uomini in maniera stimolante e costruttiva. Ognuno dei tuoi rapporti con l’uomo - e con la natura - deve essere una ben precisa manifestazione della tua vera esistenza individuale corrispondente all'oggetto della tua volontà. Se ami senza ottenere in cambio amore, se cioè il tuo amore in quanto amore non produce un contraccambio d’amore, se mediante la tua manifestazione vitale come uomo amante non ti fai uomo amato vuol dire che il tuo amore è impotente, che è una sventura”.
Non è un brano tratto da uno dei Vangeli bensì da Marx: Manoscritti economici-filosofici (mega I,3, pag.149)
L’uomo moderno non pensa più di creare qualcosa con amore. È l’ingranaggio tecnologico che autocrea per esso. Di solito ora ci si preoccupa di essere amati e se così non è, dato che tutti vogliono essere amati, si cade nella depressione che la noia trasformata in patologia. Ovviamente parlare di depressione è più sostenibile. Ci si aspetta che il sistema crei o abbia già pronte le soluzioni mediche. Parlare di noia è trasgressivo e inquietante: non mette in discussione un terapeuta bensì i singoli attori della società: politici, genitori, insegnanti, ecc. La risposta più frequente che si sente, anche in televisione, è: “cosa gli manca ai giovani visto che hanno tutto?!”.
Non sarà forse che manca l’amore?
Come se AVERE sia il prerequisito per amare o essere amati. Avere, possedere vuol dire ESSERE A POSTO, IN REGOLA. Al contrario aspirare all’ESSERE è diventata una sciagura capace di renderci sovversivamente diversi. Non a caso ho affrontato il discorso dell’attività nell’ottica dell’amore, poiché anche l’attività può essere l’espressione di un riempimento di vuoto esistenziale. L’attività compulsiva e passionale dell’uomo tecnologico così come dell’uomo consumistico cos’è se non una finzione dell’essere; in questo caso si tratterebbe di ESSERE AGITI (nuovamente una passività). La parola PASSIONE si ricollega a PATIRE e riguardo alle brame, non ricordo quale poeta ha affermato che: “La gelosia è una passione che ricerca con zelo ciò che produce patimento”.
Concludo con una provocazione: la noia non sarà una forma di anestesia dell’anima affinché l’uomo non provi mai dolori esistenziali?
Purtroppo in questa società anche la noia non riscuote interesse. Ci si interroga sulla noia solo in relazione agli episodi trasgressivi dei giovani. Quasi fosse un fastidio e non un prezioso messaggio. Perché nessuno se ne accorge, visto che il fenomeno si ripete con la stessa stanchezza inconcludente nei programmi televisivi (parlo della televisione come della moderna agorà)?
Forse perché la società fa prima a rimuovere la questione affogando i giovani di beni materiali, distraendoli tra un consiglio per gli acquisti e un tranquillante o un isola dei famosi?
Che differenza tra quei tempi in cui i momenti liberi erano deputati all’ozium! Ora per essere noi stessi dobbiamo pagare un terapeuta che ci ricordi che esistiamo ancora e che la vita va vissuta con amore.
Lino Carriero, romano, naturopata e psicologo di fama nazionale, si occupa di consulenza filosofica e I CHING. Ha pubblicato diversi libri, tra cui, nel 2009, il romanzo “ "L’ottenebramento della luce". Vedasi www.linocarriero.com/