Epifanie

 

Ad ognuno di noi capita talvolta di provare per un istante una sensazione forte ed improvvisa che evoca un ricordo, aprendo per così dire uno squarcio nel corso lineare del tempo. Può accedere che il ricordo evocato affiori immediatamente con forza oppure che si renda inafferrabile, lasciandoci appesi al bisogno di seguirne le tracce. Chiameremo la ricerca consapevole di quel ricordo reminescenza o anamnesi per dirla con Aristotele, innescata dalla sensazione che l'esposizione a uno stimolo sensoriale ha prodotto in noi: gli occhi hanno colto un dettaglio, le mani una certa consistenza, le orecchie un certo suono, il naso un odore, la lingua un certo sapore che ci ricorda qualcosa; ma che cosa? Così tentiamo di riprovare quella sensazione fuggitiva e rivolgiamo lo sguardo a quell'arcolaio, sfioriamo ancora quella morbida seta, riannusiamo quel profumo, ma non proviamo ciò che abbiamo provato un attimo prima, se non in forma sbiadita, depotenziata; una sorta di delicata amarezza allora ci pervade per non averla colta fino in fondo. Marcel Proust in Alla ricerca del tempo perduto, descrive questa ricerca consapevole del ricordo come una ricerca ostinata che non conduce ad alcuna scoperta. Riassaggiare la madeleine ammorbidita nel tè una e più volte non serve, non resta che desistere. E quando ormai la mente è serenamente sgombra dall'ossessione, ecco che il ricordo evocato dal sapore della conchiglia di San Giacomo si manifesta, vivo, presente: è il ricordo delle estati giovanili trascorse in casa della zia, come per noi quel profumo d'acqua di rose che ci ha sfiorato le narici, è il ricordo dei pomeriggi invernali trascorsi con le amiche al caffè Ortensia. L'epifania del ricordo produce in noi una sorta di sdoppiamento: in carne ed ossa, siamo in fila all'ufficio postale, per tutto il tempo necessario affinché arrivi il nostro turno ma nella mente esperiamo lo scorrere di un tempo altro, quello di un evento storico. In questo caso direbbe Aristotele, avremo a che fare con la memoria. Essa è costruita nel tempo dall'insieme degli eventi della nostra storia personale, la vita che abbiamo vissuto, costituisce la nostra identità, la cosa che di più caro abbiamo. Quanto angosciante infatti è il pensiero di poter perdere un giorno la memoria, sarebbe come perdere la nostra identità. La stessa paura della morte o della follia sono strettamente connesse alla paura di perdere l'identità. Nel ricordo essa si riafferma. Ripensando a noi stessi nel passato ci rivediamo identici seppure diversi. Siamo infatti noi perché ci riconosciamo nella unicità del nostro vissuto dal passato al presente, ma siamo anche altri perché la nostra conoscenza, la nostra consapevolezza, il nostro giudizio sono andati trasformandosi esperienza dopo esperienza. Può capitare allora di sorridere dei pensieri che dimoravano nella nostra mente quando eravamo adolescenti, all'apparire di un ricordo che li riguarda, eppure nel momento in cui abbiamo vissuto la fine del primo amore le nostre convinzioni apparivano salde e immutabili tanto da farci spesso pronunciare sentenze definitive come "non amerò mai più". Il manifestarsi di un ricordo, a cui non pensavamo più ha carattere allora rivelativo poiché è reinterpretato alla luce dell'esperienza che ci ha trasformati. L'esperienza del ricordo ci informa sul presente e sul futuro rivelandoci che la nostra vita è caratterizzata dal cambiamento, che domani potremmo non essere più certi di quello che non metteremmo mai in discussione oggi, pur rimanendo noi, con la medesima identità. Il ricordo ci obbliga a ripensare noi stessi e i nostri pensieri, rendendoci consapevoli che la verità attuale è sempre provvisoria, rivedibile.