La Pratica sul dubbio

 

 

 

« "Solo gli imbecilli non hanno dubbi."

"Ne sei sicuro?"

"Non ho alcun dubbio!" »

 

(Luciano De Crescenzo, Il Dubbio)

 

 

 

La Storia Infinita di Michael Ende è stato uno dei miei libri preferiti dell’infanzia. Mi piaceva già solo per il fatto che era scritto a due colori: amaranto e azzurro. Due colori “semplici”, ma insieme in un contesto mediamente monocolore (nero) come i libri, hanno reso unica l’opera. Diverso dagli altri, originale.

Anche la Pratica sul Dubbio è originale, anche se in sé racchiude elementi di altre pratiche filosofiche.

Nasce con l’intento di offrire ai partecipanti un processo dialogico per prendere una decisione con la consapevolezza che una conclusione di gruppo è tendenzialmente più “oggettiva” e sicura, o perlomeno più approfondita! Come Sebastiano, nel romanzo di Ende, deve seguire un criterio ben preciso per superare il labirinto delle Mille Porte, così la Pratica sul Dubbio è un metodo che si basa, non solo su di un processo cognitivo plurale, ma soprattutto sul valore vivente dei sentimenti reali dei partecipanti (nelle vesti di protagonista ed investigatori), concreti elementi che guidano il processo dialogico, trasformando il dubbio-bivio in una strada chiara e percorribile con maggior cognizione di causa.

Lo scopo autobiografico1 di dar vita a questa pratica è il desiderio di allontanare il fantasma di una filosofia inconcludente e fine a se stessa.2

 

In Presence3 si descrive il senso della prototipazione. <<La prototipazione – scrivono gli autori - nella sua essenza allinea saggezza della mente, del cuore e delle mani, perché ci costringe ad agire prima che abbiamo capito qualcosa alla perfezione e che abbiamo formulato un piano. Uno dei principi di base di tale processo prescrive infatti di agire su un concetto prima che esso sia completo o perfetto….Non pensarci troppo! Sentilo!>>.4

La Pratica sul Dubbio è certamente un prototipo; nata da vent’anni di ricerca attraverso i sensi, il cuore e la mente è però ancor prima di una teoria, una esperienza di vita che mi piace fare e condividere e cresce e migliora nell’esperirsi. Chi, in questi anni, ha sperimentato la Pratica sul Dubbio ha detto che funziona e che è efficace. Chi l’ha provata mi ha spronato a crederci, a non mollare e a farlo conoscere ad altri.

Grazie soprattutto alla dottoressa Nicoletta Poli, con questo articolo ho deciso di lasciar traccia di questo “prototipo esperienziale”.

La Pratica sul Dubbio è uno strumento di lavoro per consulenti filosofici e formatori aziendali.

Se il Dialogo Socratico, la Philosophy for Children o i Café Philò5 sono pratiche che basano il processo di confronto dialogico su pretesti tendenzialmente già passati, risolti e finanché puramente testuali, la Pratica sul Dubbio come il Dilemma Training6, lavora su una situazione personale ancora irrisolta, ma ovviamente non patologica. Durante una Pratica sul Dubbio si analizzano casi che riguardano tematiche relazionali, valoriali, esistenziali in ambiente di lavoro.

 

Questa apertura è per me fondamentale, perché permette di lavorare su una “verità soggettiva”, che guiderà il processo di pensiero anche attraverso il corso emozionale che lo incarna. Il protagonista del dubbio, che analizzerà coi compagni il proprio caso, utilizzerà uno strumento, a mio avviso, indispensabile per la ricerca di una strada da percorrere: il termometro emozionale (sfruttando le altre intelligenze che abbiamo: quella del cuore e quella somatica)7.

La cornice che giustifica la volontà di trattare un caso aperto è etimologica: se “filosofia” nelle molteplici accezioni che può avere, è anche “amore per la ricerca riflessiva della verità”, allora la filia è giusto che svolga un ruolo centrale. Più in generale i sentimenti a mio avviso debbono svolgere un ruolo fondamentale nel processo di ricerca. Nel bene e nel male.

La filia è presente in veste di rispetto delle idee e delle identità di ciascun partecipante, nel sentimento di delicata curiosità che gli investigatori dovranno assumere per aiutare il protagonista a scogliere il nodo logico, che aggroviglia il suo cuore e la sua esistenza in quel momento. I sentimenti del protagonista si manifestano durante il processo di disgregazione della molecola complessa che compone il dubbio. I sentimenti emergono alla fine della pratica in forma di gratitudine e riconoscimento.

Sarebbe ipocrita disconoscere che questa pratica produce effetti anche apparentemente negativi. Durante le ore (a volte fino a otto) che i praticanti filosofi passano assieme, si provano emozioni forti, anche contrastanti. La tensione energetica che un dubbio può portare con sé è generalmente sia di volontà di cambiamento sia di resistenza allo stesso, quindi nel fluire delle parole anche i cuori ritmano a battiti diversi. Tuttavia è emerso quasi sempre che al termine della pratica i partecipanti abbiano definito l’esperienza intensa e si sono generati solidarietà esistenziale, fiducia e coraggio per affrontare i mostri cupi dell’ombra umana. Ma sarebbe disonesto non scrivere che alcuni partecipanti hanno ammesso d’aver provato noia.

Effettivamente questa esperienza potrebbe essere definita “lenta”: l’ascolto e il silenzio sono fondamentali. Sono consapevole che questa pratica non è per tutti! Credo che per vivere con soddisfazione una Pratica sul Dubbio, bisogna avere alcune caratteristiche: essere portati alla curiosità per i pensieri e le parole degli altri; essere in grado di fare silenzio interiore per mettersi nei panni degli altri; essere flessibili e attenti alle diverse prospettive esistenziali che offrono gli altri invitati. Per partecipare a questa esperienza filosofica bisogna credere nel fatto che si può migliorare ascoltando i punti di vista altrui. Se sono presenti questi ingredienti si può fare filosofia con piacere!

 

L’ho chiamata “Pratica sul dubbio”, perché è concreta investigazione filosofica su di una esperienza di vita, durante la quale le menti ed i cuori si contaminano fra loro. La filosofia per me è passione per la ricerca e per la condivisione di domande e risposte a questioni ancora da comprendere. Praticare la filosofia a mio avviso è coraggio di sostare nell’epoché husserliana e riuscire a costruire con il supporto di altre persone mappe in grado di guidarci verso sentieri che da soli avremmo paura di esplorare, ma che in un gruppo coeso, solidale e rispettoso delle differenze valoriali, cognitive, culturali e di vita, può essere non solo avvistato, ma anche percorso per raggiungere nuovi spazi di libertà.

 

Ho scelto di usare il termine dubbio, perché il punto di bivio esistenziale non è necessariamente nella dimensione valoriale –come sottintende il titolo Dilemma Training. La Pratica ha evidenziato che spesso il dubbio riguarda più semplicemente il mal utilizzo della competenza linguistica. In altre parole, il dubbio potrebbe anche non sorgere se la domanda esistenziale venisse strutturata linguisticamente in modo diverso. Sposo pienamente l’affermazione di Ludwig Wittgenstein quando sostiene che <<il problema filosofico è una consapevolezza del disordine nei nostri concetti, e può essere rimosso mettendoli in ordine….Per come io pratico la filosofia, tutto il suo compito è dare forma ad un'espressione in modo tale che certe inquietudini/problemi spariscano>>8 .

 

La Pratica sul Dubbio, come dicevo all’inizio, è un patchwork, una raccolta di alcune parti delle più conosciute pratiche filosofiche9 integrate ad altre tecniche di facilitazione comunicativa.

Tra i primi obiettivi della Pratica sul Dubbio c’è quello di stare nel processo riflessivo e imparare a creare confidenza e sentimento di reciprocità tra persone che non si conoscono, dando valore alla parola-pensiero come logos, cioè elemento che lega due o più esistenze nella ricerca di ben-essere; un altro obiettivo è imparare a strutturare un confidente problem setting, in grado di agevolare le successive azioni decisionali per chi sente di dover fare un salto e non ha gli strumenti per costruire un ponte verso il cambiamento.

 

Andiamo con ordine e vediamo di cosa si compone la cassetta degli attrezzi della Pratica sul Dubbio.

Come il Dialogo Socratico e il Dilemma Training, anche la Pratica sul Dubbio necessita di spazio temporale, per cui generalmente il gruppo, composto da 5-10 persone può avere a disposizione fino a 8 ore di libertà riflessiva e dialogica. Le regole del gioco sono quelle di tutte le Pratiche Filosofiche:

rispetto dei tempi di intervento (circa 3 minuti a testa);

non sovrapposizione di parola;

sono interrotti i commenti irrispettosi;

si sosta nel silenzio e nell’ascolto attivo dell’altro;

se sorgono momenti di forte emozione, si accolgono;

ciò che dice il facilitatore ha un ruolo direttivo importante e deve essere rispettato.

 

La Pratica sul Dubbio incomincia, come per il Dilemma Training, almeno una settimana prima del giorno di ritrovo effettivo. Il consulente filosofico infatti chiederà ai partecipanti di descrivere in qualche riga il dubbio aperto che ha. Questo per tre ragioni:

1. La stesura del testo permette al partecipante di chiarirsi un po’ le idee circa il problema. La scrittura permette una maggior presa di distanza emotiva dal problema, cominciando a “spacchettare la molecola del dubbio” in proposizioni linguistiche più semplici.

2. La lettura dei casi permette al facilitatore di conoscere anticipatamente le problematiche, potendo valutare quali escludere per consapevole incapacità di gestire emotivamente o deontologicamente le dinamiche che potrebbero generarsi. In situazione di ambiguità il facilitatore potrà telefonicamente chiedere maggiori delucidazioni.

3. La conoscenza anticipata dei casi, infine, permette al consulente filosofico di prepararsi con testi e spunti di riflessioni.

 

Giunti al giorno della pratica effettiva la prima mezz’ora è propedeutica alla creazione dell’ambiente filosofico, introducendo le “regole del gioco”.

 

Successivamente, come nel Dialogo Socratico, le persone sono disposte in cerchio, a turno si presentano e raccontano il loro caso. Non si può partecipare se non si ha un dubbio da condividere. Tutti devono “svelare un’ ombra”. Vige il principio di uguaglianza.

 

Segue quindi la scelta del dubbio da analizzare. Seguendo il ritmo circolare il primo che ha cominciato a raccontare il proprio dubbio esprimerà le proprie argomentazioni a favore del dubbio che vorrebbe trattare. E così tutti gli altri. Scrive un partecipante: “Le regole (circolarità della parola e il massimo di tempo di intervento) fanno in modo che non ci si disperda e che non si sfoci nel divagare, anche le regole possono sembrare molto limitanti, ma in realtà aiutano tutti e danno anche una certa ritmicità alla pratica.”

I giri potrebbero essere anche tre o quattro. Ma è importante che ci sia unanimità o per lo meno buona disponibilità di tutti nella decisione finale del caso da trattare. Sta all’osservazione del facilitatore osservare il campo e percepire gli umori dei partecipanti.

 

Scelto il caso, il facilitatore mostra due immagini (fig. 1,2): I sei cappelli di E. De Bono + 1 e la Piramide di Robert Dilts sono strumenti pratici per guidare il flusso del pensiero del gruppo. Essi offrono delle direttive per vedere dove si collocano i concetti espressi durante il dialogo, o lungo la piramide o tra i cappelli. Questi due strumenti sono molto efficaci per permettere l’elevazione a consapevolezza dell’uso delle parole, molto più spesso inconsapevole che consapevole10 e quindi per capire soprattutto il livello di coerenza personale tra pensieri, parole e azioni. Vediamoli brevemente:

I sei cappelli di Edward De Bono +1 servono a riconoscere che tipo di argomentazione si sta portando nel processo di investigazione, che stile di pensiero si sta mettendo in atto:

1. fattuale –cappello bianco,

2. costruttivo/positiva –cappello giallo,

3. decostruttivo/negativa- cappello nero,

4. passional-emotivo- cappello rosso,

5. creativo/paradossale –cappello verde,

6. sistemico –cappello blu

7. valoriale –cappello viola.

Ho aggiunto il cappello viola, perché i valori sono filosoficamente rilevanti e sono il punto di contatto con il secondo strumento guida: la Piramide di R. Dilts11. Questa “piramide logica” permette ai partecipanti di comprendere l’oscillazione del dubbio lungo la piramide: attraverso la comunicazione e l’osservazione del tabellone, che rimane per terra sotto gli occhi di tutti, a fianco del tabellone dei cappelli, è facile vedere che si passa da argomentazioni che riguardano l’ambiente (base della piramide) cioè il contesto spazio temporale entro cui il dubbio si inserisce, ad argomentazioni che riguardano lo spirito del protagonista o degli investigatori (vertice della piramide) con cui si esprimono gli obiettivi, le aspirazioni, la vision dei partecipanti. In mezzo possiamo riconoscere valori/credenze degli investigatori e/o del protagonista, che filtrano i giudizi su comportamenti e competenze per agire scelte. Il livello identitario è “offlimits”. Quel livello va saltato, nei termini in cui non si possono esprimere giudizi di valore sulla persona. Le espressioni “Tu sei x, y” dando accezione negativa sono fermate dal facilitatore. Scrive un partecipante:

“Gli strumenti (i sei cappelli e la piramide a sei liv.)sono molto utili perché permettono di affrontare tutte le tematiche che emergono senza però abbandonarle al caos,bensì dando una collocazione precisa e funzionale alla pratica (i valori in viola, emozioni in rosso...); in questo modo, mentre la pratica va avanti, la "mappa" prende una forma sempre più strutturata.

I sei cappelli aiutano molto anche dal punto di vista visivo: quando si guarda la lavagna si capisce immediatamente il senso che hanno le parole chiave trascritte dal facilitatore, quindi l'associazione è facilitata.

La piramide è d'aiuto per dare una collocazione a ciò di cui si sta parlando, anche se all'inizio potrebbe sembrare troppo vincolante in realtà, proseguendo con la pratica, se ne capisce l'importanza, perché aiuta a capire se ciò di cui si sta parlando in quel momento è qualcosa che tocchi l'identità della persona, il comportamento, lo spirito o altri livelli, quindi è decisamente utile.”

 

Illustrati i due “strumenti di consapevolezza logica” (logos esprime l’uso della parola, il processo cognitivo e il loro legame con il contesto argomentativo e ambientale), il facilitatore chiede al protagonista di sintetizzare in poche parole il suo dubbio e il facilitatore lo riporterà alla lavagna. Questo, come per il dialogo socratico, serve per fermare il flusso di pensiero e permettere di lavorare sulle parole.

L’uso integrato della scrittura sulla lavagna bianca e la scrittura da parte dei partecipanti è fondamentale12, per diverse ragioni: permette di lasciar traccia delle parole precise che vengono usate, permette di “raffreddare” le parole più impregnate di emozione per essere poi riprese con maggior calma riflessiva e minor impatto emozionale. Possono essere ricollocate attraverso l‘uso grafico di frecce e cerchi colorati in mappe mentali diverse, offrendo processi di senso alternativi a quelli offerti dal flusso dialogico circolare. Per i partecipanti, invece, avere carta e penna a disposizione permette di scrivere intuizioni-idee-emozioni, che emergono durante il processo dialogico, fuori dal proprio turno di parola. Spesso e volentieri un’idea viene espressa da qualche altro compagno e l’idea può essere “cancellata”. Se così non fosse può essere espressa tranquillamente al proprio turno. E importante che gli investigatori possano avere la possibilità di scrivere anche le proprie intime considerazioni che riguardano il proprio dubbio perchè, anche se non trattato, rimane nell’aria e nei pensieri dell’interessato e quindi comunque elaborato durante il processo. Tra l’altro può capitare che vengono citati gli altri dubbi, e gli strumenti di analisi possono far germogliare degli insight che si sente il bisogno di fermare.

 

Dopo che il protagonista ha sintetizzato il dubbio (espressione linguistica che generalmente mostra il loop mentale che trasforma la strada in bivio), il facilitatore invita il protagonista a scomporre il dubbio in un racconto più particolareggiato (cappello blu), attraverso uno sguardo d’insieme di primo livello. Cominciamo a vedere la punta dell’iceberg.

 

Successivamente si dà la parola agli investigatori13. In questa fase si utilizza la parte di Agenda della Philosophy for Children. Mantenendo sempre la ciclicità di partenza ognuno offre le prime impressioni e le prime domande al protagonista. Il facilitatore trascrive sulla lavagna.

Il protagonista ascolta e risponde alla fine del primo giro. Nel proseguio dei giri è facile vedere come il dubbio si trasforma in un racconto sempre più complesso, dove molti elementi emergono dalla profondità della memoria del protagonista, grazie alle osservazioni/domande degli investigatori. La definizioni originaria si arricchisce di dettagli valoriali, comportamentali, ambientali che delineano e focalizzano alcuni aspetti del costrutto linguistico di partenza, mentre altri passano in secondo piano. Il punto di vista degli investigatori illumina a giorno la caverna e le ombre, che sembravano enormi, si riducono passaggio dopo passaggio14.

Scrive un partecipante “Ho trovato molto positiva la situazione che si è venuta a creare e gli aspetti eminentemente pratici che si sono ottenuti. Il fatto di usare un metodo scrupoloso come quello filosofico per risolvere i problemi mi sembra molto utile. L'organizzazione del gruppo sulla base di un protagonista e di 4 o più "investigatori" mi è sembrata un'idea funzionale e vincente, e con l'aggiunta degli schemi che avevamo sotto agli occhi (oltre alla lavagna) favorisce uno degli aspetti che spesso nella riflessione filosofica va un po' perso, cioè l'ordine.”

Il protagonista stabilisce quando si conclude La Pratica sul Dubbio. E’ fondamentale il rispetto della sua volontà e dalla sua sensibilità. Può capitare che il dubbio sia stato sciolto in maniera completa da tutti i punti di vista e il gruppo intero percepisca un energia di campo che fa finire l’esperienza; ma può anche capitare che il protagonista non se la senta di arrivare fino in fondo all’iceberg, perché troppo difficile dal punto di vista fisico ( è un’esperienza cognitivamente impegnativa, perché richiede grande concentrazione psico-emotiva) o dal punto di vista emotivo (troppo coinvolgente ed intimo il dubbio da scalfire in gruppo). Il facilitatore e gli investigatori devono rispettare la volontà del protagonista e sospendere il processo.

 

Scrive un altro partecipante: “Con questi presupposti, il sistema della Pratica sul Dubbio mi è parso molto valido. Il modo in cui la discussione si è svolta mi è sembrato efficace rispetto a tutte le sue caratteristiche principali: alternanza ciclica degli interventi, ruolo del facilitatore, limitata (ma non nulla) familiarità reciproca dei partecipanti. In particolare la regola di parlare uno alla volta, in ordine circolare, consente di evitare di farsi prendere dall'emozione e da possibili animosità e, inoltre, di meditare e filtrare i propri argomenti con una certa calma, rendendosi conto anche che non tutto quello che vien da dire a caldo risulta meritevole di essere detto anche solo pochi minuti più tardi. “

 

Questo articolo non pretende alcuna esaustività in termini teoretici, ne tantomeno metodologici. La Pratica sul Dubbio è esperienza di vita prima che “testo”. Sono consapevole delle lacune che queste pagine contengono, ma è la prototipazione a imporre la “vaghezza” delle frasi. Scrivere è tracciare. Anche percorrere le strade del dubbio porterà ad altre riflessioni, e iltempo a sua volta mostrerà le tracce da lasciare!

 

 

 

 

1 AAVV, Le pratiche filosofiche nella formazione, Adultità, aprile 2008, Guerini e Associati, Milano

2 Cfr. articolo rivista Dipartimento di Filosofia di Bucarest “Le Pratiche Filosofiche nelle organizzazioni: una sfida per il futuro. L’esperienza italiana”

3 P. Senge, O. Scharmer, J. Jaworosky, B.S. Flowers, Presence, Franco Angeli 2013

4 Ibidem, pg.137

5 P.Raabe, Teoria e Pratica della Consulenza Filosofica, Apogeo Ed., 2006

6 Cfr. Dilemma Training dell’America Philosophical Pratictioning Association, di Ida Jongsma

7 Cfr. Daniel Goleman è co fondatore del  Collaborative for Academic, Social, and Emotional Learning (www.casel.org)

8 L. Wittgenstein, Big Typescript

9 Oggi in Italia c’è un’ampia bibliografia sul tema delle Pratiche Filosofiche,  la collana più ricca di testi per i professionisti del settore è quella curata da Umberto Galimberti, edizioni Apogeo, ma diverse altre case editrici stanno permettendo la divulgazione di questo “nuovo” modo di intendere la filosofia, una fra molte Mimesis.

10 Cfr. Watslawick I principi della comunicazione

11 R. Dilts, Leadership e visione creativa, Ed. Guerini, 1998

12  http://studio-filosofico.blogspot.it/2010/09/penelope-e-socrate-per-le-pratiche.html

13 http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo/Cultura/2008/02/socrate-soprabito-tenente-colombo.shtml?uuid=776395ee-d58d-11dc-b6f8-00000e25108c&DocRulesView=Libero

14 Cfr. Mito della caverna di Platone

 

  

I livelli di Dilts
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I sei cappelli + 1
i sei cappelli + 1 (1).pdf
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